Una banana fissata al muro con poche decine di centimetri di
nastro. Questa è l’ultima opera che ha stupito il mondo. Venduta per 120 mila
euro. La vendita naturalmente è parte integrante dell’opera. Come parte dell’opera
è il gesto di averla staccata e mangiata.
(D'altronde … al netto della malizia …
che altro vuoi farne di una banana?)
Pochi giorni dopo compare un murales che trasforma in slitta
trainata da surreali renne natalizie il letto arrangiato di un clochard che
dorme all’agghiaccio.
È arte. È l’arte dell’istallazione. Della provocazione. Del “gusto”
del ready-made. Oggi si fa così (si dice). E vengono osannati
come veri e propri geni coloro che hanno pensato e prodotto opere di questo
tipo finite su tutti i network di
informazione.
Ma come nasce l’arte contemporanea e come si colloca nella
storia della cultura occidentale? Qualcuno la fa iniziare con Duchamp e il suo
ardito gesto di proporre un orinatoio rovesciato.
Ma la vera origine del
fenomeno è da cercarsi molto prima, nella seconda metà dell‘800. I pionieri
involontari sono pittori come Paul Gauguin e Vincent Van Gogh. Cosa centrano questi con l’arte contemporanea?
vi starete chiedendo, visto che non l’hanno mai conosciuta, né fatta e né tantomeno
hanno contribuito alla sua nascita o al suo sviluppo.
E invece il loro contributo è stato grande, ma non è venuto
dalla loro opera, ma essenzialmente dalle loro vite. Entrambi sopravvissuti ad un’esistenza
di povertà e tormenti, subito dopo la loro morte, sono esplosi come esempi di
altissima espressione artistica. Le loro personalità sono passate alla storia
come troppo evolute perché i loro contemporanei potessero apprezzarne la
grandezza. Ed è sottile il fatto che il racconto straziante delle loro vite
maledette genera da sempre nel pubblico, oltre alla creazione del mito, il
senso di colpa per aver ignorato un fenomeno straordinario al momento del suo
nascere.
Da quell’esperienza in poi nel mondo dell’arte si è giustificata
la compulsione ad interessarsi di più a tutto ciò che è nuovo piuttosto che a tutto
ciò che è bello e artisticamente valido. Quasi a dover espiare il torto dell’aver
fatto morire di stenti dei grandi geni artistici. Su quella compulsione sono
nati il concetto di avanguardia e la bulimica corsa a fondare continue correnti
artistiche che ha caratterizzato tutta la modernità.
Dal radicarsi di quella compulsione si sono originate, oltre
a fenomeni di grande pregio, continue esigenze di rimettere sempre tutto in
discussione, persino l’essenza stessa e più profonda dell’arte, ignorando con
leggerezza i millenni in cui questa si è definita, in nome di un progresso dal
quale rimanere indietro è sempre apparso come il più grosso delitto che si
potesse compiere verso la personale crescita culturale.
Nel frattempo, così come il mago ti chiede di guardare con
attenzione la mano mentre con l’altra nasconde la carta, la speculazione sul
fenomeno ha preso inesorabilmente il sopravvento.
E così si è arrivati al punto
che diventa arte tutto ciò che si vuole lo diventi, manipolando a modo una
delle attività umane dove un tempo si creavano straordinarie occasioni di elevazione
per l’uomo, dove si generava bellezza sempiterna e si creavano occasioni di risveglio
delle migliori energie umane.
Cattelan e gli altri speculatori contemporanei non sono geni.
Un genio è colui che ha idee che oltrepassano le normali capacità umane. Appendere
una banana al muro invece significa semplicemente non avere idee.
Cattelan è un
uomo fortunato, perché qualcuno ha deciso che i riflettori debbano essere
puntati su uno qualunque di quelli che idee non ne hanno. Ed hanno scelto lui.
E
davvero non c’è altro da dire su questo.
Chi ci rimette sono quelli che talento ne avrebbero
veramente, totalmente ignorasti e tenuti volutamente lontani dal pubblico. Il
pubblico stesso, che deve essere nutrito di contenuti sterili, insignificanti e
depauperanti.
Nel frattempo, la civiltà che originò Leonardo, Michelangelo
e Raffaello, ha perso la capacità di distinguere bellezza, talento, qualità
estetica dalla banalità di un oggetto comune.
Questi sì, sono i veri segni di
una civiltà al tramonto.
Alberto Melari