lunedì 16 settembre 2019




Imparate a fare sempre di tutta un’erba un fascio.


Mi ricordo un fatto di attualità di pochi anni fa. Scandali riguardanti il mondo del calcio. Era emerso il solito giro di partite truccate, arbitri venduti, corruzione a tutti i livelli.

Seppure l’argomento non mi abbia mai interessato, mi colpì il fatto che, una volta scoperchiata la pentola, si riuscirono a spiegare vicende precedenti a cui in un primo momento erano state date interpretazioni sbagliate.

Ad esempio, negl’anni precedenti alcuni personaggi di lunga carriera si erano stranamente ritirati a vita privata pur essendo ancora perfettamente in grado di ricoprire i propri ruoli.

Si capì solo dopo che quei pensionamenti anticipati, che al tempo sembravano dettati da scelte di vita privata, erano in realtà dovuti al rifiuto di doversi sporcare le mani nel continuare ad operare in un ambiente marcio.

Il pensiero è andato a tutte quelle volte che, in situazioni simili, quando emergevano casi di corruzione in politica, nella finanza, nelle istituzioni, l’informazione predicava di evitare di fare “di tutta un’erba un fascio”. Se in un partito o in un’istituzione o in uno specifico ambiente emergevano dei corrotti, non bisognava dedurre che anche gl’altri componenti del gruppo fossero altrettanto disonesti.

Si può a buona ragione ritenere che esistano vari livelli di interpretazione di una realtà.

-          - La sensazione. È Il più basso di tutti. Quello narcisistico. Consiste nell’interpretare la realtà in base a come noi la percepiamo. Se una specifica situazione o persona a pelle non ci piace, si ha la tendenza a rendere quella sensazione reale. Ad esempio, se la prima impressione che abbiamo di qualcuno è quella di poca onestà, bolliamo la persona come disonesta. Allo stesso modo una sensazione positiva ci fa giudicare buono qualcuno che in realtà non conosciamo e non sappiamo com’è. Se si segue questa regola la vita può dare spesso delle delusioni.

-          - Il principio. Far valere il principio significa non giudicare niente o nessuno fintanto che questi non si manifesti con specifiche azioni o dichiarazioni. Insomma, è quello che viene detto “garantismo” per cui tutti sono buoni e onesti fintanto che qualcosa non ci dica il contrario. È quanto viene predicato, ad esempio, a livello istituzionale o nel campo dell’informazione. Chi lo adotta per la propria vita è di sicuro meno esposto rispetto a chi si muove per sensazioni. Ma è comunque a rischio.

-         -  Il buon senso. Il buon senso è uno dei concetti più difficili da definire. Ma anche il livello più alto di interpretazione della realtà. Parte dalla sensazione. Non la esclude. Tuttavia non la segue nella sua tendenza a trasformarsi in giudizio. La fa passare attraverso la logica e, più spesso, attraverso l’esperienza.

Nel caso degli ambienti corrotti, applicare il buon senso significa procedere col ragionamento che segue.

Se fatti e situazioni dovessero far emergere che uno specifico ambiante è fortemente corrotto, pensare che una parte, magari minoritaria, sia rimasta integra e onesta è quantomeno molto improbabile. E le vicende degli scandali del calcio ne sono una buona dimostrazione.

Le persone veramente oneste, in quel caso infatti, non hanno tollerato il progressivo inquinarsi dell’ambiente e si sono defilate.

Se essere onesti significa avere dei principi di onestà, permanere in un ambiente in cui quei principi vengono sistematicamente calpestati sarà motivo di forte frustrazione che tenderà a trasformarsi in una sensazione umanamente insopportabile.

È lecito credere che chi è riuscito a permanere in un ambiente fortemente corrotto, come quello di un partito politico colto da innumerevoli scandali, senza essere mai coinvolto, non sia altrettanto eticamente retto rispetto a chi da quel sistema era esterno.

La sua permanenza nell’ambiente può essere interpretata in vari modi. Nessuno dignitoso purtroppo.

Se ha assistito al degradarsi dell’ambiente circostante senza subire disagio, ciò significa che di certo l’onestà non rientra fra i suoi principi fondamentali.

Se non si è accorto del crescente dilagare della corruzione, ciò lo rende ingenuo e sprovveduto.

Se era semplicemente in attesa di sfruttare l’ambiente degradato per buttarcisi dentro per fini personali ma non ci è riuscito, ciò lo rende, oltre che non meno sporco degl’altri, un incapace.

Se invece non c’era niente di tutto questo, significa banalmente che non lo hanno ancora preso.

                                                            Alberto Melari

domenica 1 settembre 2019



Se la droga è il potere.


Ludopatia. Tutti oggi conoscono il significato di questa parola.

Un tempo era riservata ai soli tecnici. Psicologi e studiosi del comportamento umano. Oggi, a causa della grande diffusione del disturbo, il termine è diventato di uso comune.

Sembra non esserci niente di buono in questo. Ed in effetti è così. Tuttavia, a voler cercare il positivo ovunque, bisogna ammettere che questo fatto ha aperto la coscienza collettiva proprio in tema di dipendenze.

Un tempo, a livello popolare, il concetto di dipendenza era riservato alle sole sostanze d’abuso. Cocaina, eroina ed altre. Al più si osava estenderlo al tabacco, all’alcool o alla caffeina.

Oggi invece, proprio in seguito alla grande diffusione del gioco d’azzardo, tutti sono consapevoli che una dipendenza possa avere una natura diversa da quella chimica e possa trovare la sua origine in gesti e comportamenti della più svariata natura che con l’assunzione di una sostanza non hanno nulla a che fare.

In altre parole, si è maturata la coscienza che si può anche dipendere da cose che non sono droghe.

‘Dipendere’ significa che i requisiti di felicità o infelicità vengono attribuiti ad una condizione esterna. L’assenza di questa condizione è motivo di forte malessere interiore così come la presenza è scaturigine di appagamento.

Quando questo meccanismo è attivo, l’essere umano somiglia ad una macchina che si adopera alla ripetizione coatta di un gesto. Spesso il confine fra una naturale tendenza e una dipendenza è molto sfumato. E questo rende tutto enormemente più complicato.

Dipendenze insidiose potrebbero essere, ad esempio, il giudizio degl’altri, l’appartenenza ad un gruppo, la vicinanza di una particolare persona e molto altro. Il fenomeno coinvolge moltissimi individui purtroppo.

Essere emancipati da questo tipo di meccanismi invece significa aver raggiunto la più autentica condizione di libertà.

La vera natura di queste dipendenze è materia di studio da anni di discipline alle quali si sono applicate innumerevoli menti elette. Pertanto lasceremo a quelle le considerazioni tecniche più raffinate.

Quello che ci preme fare in questa trattazione è solamente una distinzione, che ha però un’importanza molto rilevante.

Ci sono dipendenze che, nel momento in cui agiscono, causano un danno solo a chi ne è schiavo. Le dipendenze da sostanze sono l’esempio più concreto. Se una persona si droga, nuoce a sé stessa. Non nuoce a qualcun altro.

In realtà, per completezza, dovremmo aggiungere che questa persona, persistendo nella condizione di tossicodipendenza, potrà essere causa di forte dispiacere a tutti coloro che hanno con lei un legame affettivo. Anche la società subisce un danno a causa dal potenziale inespresso dall’individuo che si droga. Inoltre, consumando droga, questa persona favorisce l’attività criminale. Tutto molto grave … ma niente di più!

C’è una forma di dipendenza invece che, nel suo attuarsi, moltiplica i danni a livelli inimmaginabili ben al di fuori della sola persona che ne è affetta.

È la dipendenza dal potere.

Ci sono persone che soffrono di una disfunzione che consiste nel sentirsi paghe della vita solo quando ricoprono posizioni di grande potere da esercitare nei confronti di intere società. In genere, queste persone, cercano il loro appagamento nel campo della politica, ovvero nel luogo dove per lo più il potere si esercita.

Le persone in cui questa dipendenza è attiva sono dunque quasi sempre dei politici. È in questa classe che vanno ricercati i soggetti più gravi affetti da questa patologia.

La loro caratteristica più deleteria è nel fatto che non si adoperano per rendere migliore la realtà che si trovano ad amministrare, ma sono mossi dal solo scopo di esercitare potere sugl’altri. Senza di quello soffrirebbero di vere e proprie crisi di astinenza. Pertanto le posizioni di potere vengono mantenute ad ogni costo. Corruzione, inclinazione a instaurare meccanismi di controllo, scambi di favori, compromessi scelerati, tendenza a chiudersi in un élite dominante.

Diversamente dal tossicodipendente, a rimetterci questa volta è l’intera comunità che subisce l’esercizio di quel potere per nulla finalizzato al benessere comune ma indirizzato unicamente alla nutrizione di un ego perverso e scellerato. È un potere che si può definire malato.

Purtroppo c’è una questione molto più grave da considerare. Quanto è malata quella comunità che sceglie di farsi rappresentare da persone con una natura così distorta?

                                                                                                        Alberto Melari