giovedì 24 ottobre 2019

I Falsi Artisti (video)




C’è una caratteristica che distingue l’arte moderna da tutto il flusso della storia dell’arte precedente.
E cioè, oltre alle grandi menti artistiche che quel tempo ha prodotto, l’emergere di artisti fasulli.

Ossia di artisti che hanno visto elevarsi la loro fama e il loro lavoro a grandi livelli di riconoscimento e considerazione, senza alcuna motivazione, considerando che le loro opere, da un punto di vista artistico, formale e poetico, erano il nulla più assoluto.

Lucio Fontana, Yves Klein, Joseph Albers, Hans Hartung, Robert Indiana, Jasper Jons … e molti, molti altri, le cui opere sono state il ripetersi, quasi compulsivo, di sterili formule talvolta di una banalità disarmante.

Macchie di colore accostate. Segni tirati a caso. Il quadro vuoto e altre espressioni di altrettanta piattezza.

Si tratta di opere che passerebbero inosservate alla vista di chiunque senza suscitare il benché minimo interesse, qualsiasi sia il livello di cultura o di sensibilità artistica di chi le guarda.

Invece sono state elette ad icone del loro tempo e guardate con riverenza da intere generazioni perché una specifica categoria di persone, che passa sotto il nome di “critica dell’arte”, ha loro dedicato un’attenzione costante e martellante per decenni.

Il meccanismo utilizzato.

Chi ha potuto portare avanti con successo un’operazione di questo tipo, che ha coinvolto l’identità culturale dell’intero occidente, ha potuto contare su strumenti di condizionamento mentale molto raffinati, messi appunto, in campo artistico e in campo culturale in generale, allo scopo di influenzare la cultura di intere messe per esercitare potere.

Questi meccanismi vanno a toccare sistemi inconsci che annullano la capacità di senso critico facendo leva su esigenze fondamentali dell’essere umano.

Adesso spiegherò come funzionano.

Prendiamo uno di questi artisti, Ad esempio Mark Rothko. Le sue opere sono delle banali macchie di colore con contorni indefiniti accostate fra loro in numero di poche unità. Qualcosa, non solo la cui semplice esecuzione è alla portata di chiunque, ma anche di valore formale assolutamente insignificante.

Come si riesce a far credere a intere masse che Rothko è stato un grande artista? Vediamo quali sono i meccanismi che si attivano a livello psicologico.

Quando il senso critico di un individuo è ancora integro, questi comprende da sé che quelle opere non hanno alcun significato artistico.

Ma quando viene a sapere che numerosissimi critici hanno scritto su questo artista, che quelle opere sono state messe in grandi musei, che le librerie ne riportano eleganti cataloghi cartonati, la sua genuina impressione di avere di fronte un’opera di valore nullo si inibisce e subisce un tracollo senza via di scampo.

Di fronte ad una forma di autorità la grande maggioranza degli individui è abituata a subordinarsi.

Ma ammettiamo che la razionalità di una persona sia così forte da riuscire a sottrarsi a questo processo, allora subentra un secondo meccanismo insidioso. Quello dell’isolamento.

Quando tutti si sono adeguati all’idea che Rothko è un grande artista da ammirare e conoscere, continuare a pensare che quelle opere siano solo dei pastrocchi di colore senza alcun senso, ti isola totalmente da un contesto sociale. La paura della solitudine, di una sorta di ‘emarginazione’ è la forza occulta che ti porterà ad accettare l’idea che quei pastrocchi di colore siano invece opere monumentali.

Questo tipo di meccanismo viene descritto bene da Andersen nella celebre favola dell’imperatore che riceve in dono un vestito magico. Di questo vestito viene dette che può essere visto solo dalle persone intelligenti. Il vestito in realtà non esiste, ma tutti fingeranno di vederlo per paura di passare da stupidi.

Naturalmente il tutto avviene a livello inconscio, senza che ce ne accorgiamo. E si viene indotti così verso un compromesso interiore. Quello di accettare l’idea di dare un alto riconoscimento ad opere di bassissimo livello in cambio della propria permanenza all’interno di un contesto sociale, giustificando se stessi che in fondo si tratta solo di arte, cioè di qualcosa che nella pratica non è assolutamente determinante, e nella vita di tutti i giorni non comporterà obblighi di nessun tipo.

Cioè, veniamo indotti a svendere il nostro senso del gusto in cambio della nostra accettazione da parte della società.

Perché esistono i falsi artisti

Ci sono vari motivi per cui esistono i falsi artisti. 

Il primo, il più superficiale, riguarda il mercato.
per nutrirli di contenuti con effetto deteriorante.
Perché in questo modo si sviluppa il senso della qualità e quindi anche di ciò che è migliore per se stessi.
Inoltre l’artista stesso, avendo prodotto opere di grande forza, diventa un modello e una fonte di ispirazione per la capacità di liberare la parte migliore di sé.
Si annulla la pretesa di essere circondati da cose di valore. Si assottiglia la capacità di essere critici.
Annullare il significato dell’arte significa togliere nutrimento alla nostra parte emotiva, educarla ad un’esistenza povera.

L’arte è mercato. E chi gestisce il mercato preferisce non dover dipendere dalla onerosa ricerca di talenti artistici. Né di dare loro un qualche potere contrattuale.

Preferisce, visto che si può, creare fenomeni artistici su misura, da accendere e spegnere a proprio piacimento. Controllati e controllabili.

Ma esiste un altro e più subdolo motivo del trionfo di un’arte senza significato. 
Quello di ammaestrare le masse verso una cultura che renda sterili le sensibilità e le intelligenze degli individui.

Viene sfruttata la poca coscienza che la maggior parte delle persone ha dell’importanza della cultura,

In altre parole, mentre voi date all’arte, alla letteratura, allo spettacolo, all’intrattenimento, alla cultura in generale, un’importanza molto relativa, qualcuno sa perfettamente come questi contenuti agiscono sulla parte più profonda di voi e riescono, tramite quella, ad ottenere da voi l’identità che più gli fa comodo.

Mentre voi mantenete la convinzione di essere padroni di voi stessi, qualcuno sa che le persone ubbidiscono fondamentalmente al proprio inconscio e provvede a nutrirlo ad indirizzarlo, tramite contenuti culturali svuotati di significato, verso una specifica direzione.

Vediamo qual è il diverso effetto che si ottiene da una differente esposizione a prodotti culturali con valore opposto.

Contenuti di alto livello culturale che scuotono la sensibilità dello spettatore hanno l’effetto di esaltare la sua personalità e producono individui esigenti che consolidano la capacità di discernere su tutto.


Contenuti culturalmente sterili producono personalità sterili, malleabili e di facile manipolazione.
Un contatto diretto con contenuti di grande bellezza e di alto valore artistico, a livello profondo, ha un effetto che si riverbera nell’intera esistenza degli individui e li induce a desiderare quella bellezza in ogni cosa della vita.


Opere vuote di significato, prodotte da artisti di mediocre personalità, producono l’effetto inverso. Si confonde l’idea di qualità. Si abbassa il livello di percezione delle cose.

Non c’è nulla di cui essere perplessi in tutto questo, poiché l’inconscio funziona così. L’inconscio è fatto di energia emozionale. Si nutre di emozioni. E l’arte è il principale veicolo di emozioni virtuose.

Differenti tipi di reazione.

A questo processo si può reagire con diversi tipi di risposta.

Ad esempio, Se quanto detto fino ad ora su questi artisti non vi sorprende né vi coinvolge, allora appartenete a quella esigua categoria che ha sviluppato anticorpi forti contro questi meccanismi.

Una seconda categoria è quella delle persone cui capita spesso di esprimere perplessità su questo tipo di arte, mantenendosi in una posizione critica e prudente prima di far propri certi ideali artistici. Queste persone, sospese fra la possibilità e il dubbio, tendono comunque a sottrarsi ad un adeguamento e a mantenersi autentiche.

Molti invece, attraverso i meccanismi che abbiamo descritto, sono arrivati ad eleggere quegli artisti a veri e propri beniamini e, nei confronti di un’analisi come questa, in cui si è detto che sono un nulla pompato ad arte, provano irritazione.
Queste persone, quando viene fatta loro notare la pochezza di un certo tipo di arte, tendono a difenderla negandone l’insignificanza.

  Si adoperano a supportarla con concetti del tipo “provocazione”, “dissacrazione”, decontestualizzazione dell’oggetto” “negazione di” … non si sa di cosa. Tutta una serie di espressioni mandate goffamente a memoria a seguito di un sentito dire.
Immaginare una soluzione per persone così facilmente influenzabili e indottrinate è molto difficile.

Quel sentito dire che ha la sua origine in un mondo pseudointellettuale fatto da esperti (i critici) il cui unico talento è riuscire a produrre discorsi macchinosi e contorti senza dire assolutamente nulla.
Quando lo schiavo arriva a difendere il padrone, l’opera di formazione dello schiavo purtroppo è completata. 

Come difendersi.

Smarcarsi da questi meccanismi non è semplice, poiché non riguardano solo l’arte, ed entrano nelle nostre vite in maniera strisciante attraverso tutti i media, nonché veicolati dal comportamento di chi ci vive intorno e ne ha subito l’influenza.

Per quanto riguarda l’arte il mio consiglio è quello di frequentare soprattutto l’arte antica. Cioè quelle opere che sono state prodotte quando la piaga della critica dell’arte non esisteva ancora.

In Italia siamo fortunati perché ne siamo magnificamente invasi.

I maestri del passato, che hanno forgiato le fondamenta dell’estetica, gli spiriti virtuosi che hanno coniato i termini del linguaggio artistico della nostra civiltà, sono voci troppo potenti per essere azzittite, e rappresentano l’ostacolo più grande ad un sistematico abbrutimento culturale.

Saranno loro a ricordarvi quanto in alto si può elevare il genere umano, quel genere al quale anche voi appartenete. In questo modo prendete coscienza delle alte potenzialità che potrebbero annidarsi in ognuno.

Seguendo lentamente il filo sincero della tradizione, lasciandosi affascinare in maniera schietta, la personale sensibilità alla bellezza artistica si raffina.

La bellezza di quelle opere viene assorbita dal nostro io più profondo e stimola la parte più nobile del nostro spirito, elevando una solida barriera contro la fumosità di ogni relativismo estetico.

Se lo si fa in ogni settore della cultura, questo aiuta a risvegliare la propria personalità che ritorna padrona di se stessa. Dapprima nella capacità di discernere, in seguito in quella di generare la migliore realtà intorno a sé.

A quel punto, il flusso inconsistente dell’arte contemporanea o le tante vuote opere del panorama artistico del ‘900, non troveranno alcuno spazio in un’anima così consolidata.

Rappresenteranno solo una manifestazione di follia collettiva che non ci riguarda più. 

Ed avremo preservato una parte importante di noi stessi.


                                                                                   Alberto Melari

giovedì 17 ottobre 2019



Il racconto dell'uccisione di 3 uomini.


Sono andato a fare benzina al solito posto. Trovo il ragazzo che lavora lì che scherza e sorride con un signore anziano.

Non capisco di cosa stiano parlando. Quando sono arrivato il discorso era già iniziato.
Poi il signore dice “Io ho novant’anni!”. La frase mi colpisce perché non li dimostra affatto. Allora mi intrometto e dico “Davvero ha novant’anni?”. “Certo!” mi risponde “Ho fatto la guerra!”. Faccio un rapido calcolo e capisco che è plausibile.

“Mi hanno pure sparato!” mi dice. Gli chiedo dove. Mi risponde a Bolzano. Spiego che io intendevo in quale parte del corpo è stato colpito. Mi indica il lato sinistro della pancia appena sopra al linguine.

Mi dice che spesso la gente non ci crede, e allora mostra la ferita. Io gli dico che ci credo, però sono molto curioso di vederla lo stesso perché non ho mai visto una ferita da arma da fuoco.

Mi spiega che non si tratta di un vero e proprio sparo, ma di una scheggia. Cerca di farmi capire di che tipo di arma si trattava, mi parla di una sorta di catena. Non ho idea a cosa si riferisse ma in seguito sembrava abbastanza ovvio che si era trattato di una granata. Ha raccontato di averla tenuta ben 55 anni quella scheggia. Poi, ad un certo punto, ha iniziato a defecare ed orinare sangue. Solo allora ha scoperto di averla. Mi ha mostrato una ferita simile ad una rientranza puntiforme. Come un ombelico.

Mi racconta che erano in tre alla frontiera con l’Austria. Erano a presidiare il confine. Lui aveva 24 anni. Sono comparsi improvvisamente tre austriaci e li hanno attaccati. Uno dei suoi compagni è rimasto gambizzato. Lui è stato colpito sul ventre ma è riuscito ad estrarre una mitraglietta e li ha freddati tutti e tre.

Mi ha detto che solo uno era ancora vivo e agonizzante dopo le raffiche del mitra. Gli si è avvicinato e gli ha puntato l’arma in bocca, sul palato, e lo ha finito.

Gli domando se aveva ucciso prima di allora o se gli era capitato di farlo ancora. Mi ha detto di no. Quelli sono stati gli unici uomini che si è trovato a dover ammazzare.

Gli ho chiesto cosa si provasse ad aver ammazzato tre uomini. Mi ha risposto di non avere rimorsi. Lo capisco bene! Erano venuti per uccidere quelli lì.

Ha aggiunto che quando ha raccontato la storia ad un prete, questo si è scandalizzato. Gli ha detto che avrebbero dovuto risolvere la questione parlando. E questa è stata l’unica cosa comica di tutto il racconto.

L’ho salutato e me ne sono andato. Avevo appena ascoltato una storia straordinaria.


                                                                        Alberto Melari

giovedì 3 ottobre 2019




Quando ti sembra che il ragionamento è giusto


La logica del vecchio zio


Ragionare non è poi tanto difficile. Eppure innumerevoli volte accade che si crede di farlo bene e invece si sta facendo tutt’altro.

Intanto diciamo che “ragionare” significa semplicemente applicare la Ragione. Ovvero obbligare il pensiero a seguire una serie di regole che nel loro insiemi si chiamano “regole logiche”.

Non sono molte queste regole. Anzi. Direi che di fondo il meccanismo è solo uno. Quello del sillogismo.

Data un'affermazione A (vera) e un'affermazione B (vera) posso dedurre C, che è vera perché diretta conseguenza di affermazioni vere.

Per non complicare le cose utilizzeremo come esempio il più classico dei sillogismi.

A “Tutti i cani hanno la coda”,
B “Questo qui è un cane”.
Deduco C “Questo qui ha la coda”.

Tempo fa ho incontrato casualmente un parente che non frequentavo da anni. Un vecchio zio. Dopo un caloroso saluto ci siamo raccontati un po’ di cose. Lui mi chiede della mia vita.

Gli dico che sono padre di due bambini. “Ah! Ti sei sposato!” mi risponde. Gli spiego che no, non mi sono sposato. Allora mi chiede di sapere di più. Gli spiego che ho una relazione dalla quale sono nati i due bambini. Va tutto bene, viviamo tutti insieme, ma non siamo sposati.

“E perché non ti sei sposato allora?” domanda lui. “Perché non sarebbe cambiato niente con un matrimonio” rispondo. Ed è a questo punto che parte con una domanda che secondo lui trova un enorme senso nella logica più pura. “Se era la stessa cosa … allora perché non lo hai fatto?”

A questo punto capisco che addrizzare un ragionamento storto, a chi già lo vede diritto è un’impresa senza speranza. L’unica cosa da fare è percorrere una via alternativa.

Gli domando: “Tu lavi mai la tua auto?”.
“Certo! Ogni tanto lo faccio.”
“E quando la lavi, pulisci e lucidi con cura anche il battistrada delle ruote?”
“Certo che no!” Mi risponde.
“E perché non lo fai?”
“Perché non appena con l’auto partirei, dopo solo pochi metri, sarebbe sporco come prima!”
“Quindi lavarlo o non lavarlo sarebbe la stessa cosa.”
“Esatto” mi dice.
“Allora, se è la stessa cosa perché non lo lavi?”

Quale risposta vuoi ancora dare ad una domanda come questa? Se adoperarsi per fare una cosa o non farla non cambia assolutamente una realtà o una situazione, chiunque ti direbbe, seguendo la logica, che quella cosa non va fatta perché sarebbe un inutile spreco di energie.
Lo zio lo capisce benissimo.
Eppure, una logica così semplice ed efficace, quando l’ha applicata al matrimonio, il risultato era del tutto opposto.
“Poiché è inutile … allora andrebbe fatto.”
La sua reazione, quando gli ho fatto notare l’incongruenza è stata quanto di più prevedibile. Una serie di frasi sconclusionate, pronunciate prima ancora di essere del tutto mentalmente concluse, spesso in contraddizione fra loro, spesso non finite. Insomma un attorcigliamento di idee e di concetti strampalati pur di non dire: “Accidenti! Hai ragione!”

La forza occulta che ha piegato il suo ragionamento fino a far apparire logico quello che è quanto di più illogico, è stata, naturalmente, la necessità di dare un senso ad un’idea, nello specifico quella sul matrimonio, che non è una sua idea, ma una delle tante che spesso si acquisiscono dall’esterno al solo scopo di non sentirsi diversi. Un’idea fatta propria al solo proposito di adeguarsi agl’altri. E poiché il processo non è proprio dignitoso, si fa passare quell’idea per qualcosa di assolutamente logico, ma secondo una logica aggiustata all’occorrenza.

Ora, se ciascuno di noi avesse la pazienza, durante il vivere quotidiano, di scremare tutte le proprie idee, domandandosi continuamente “perché” ad ogni azione o ad ogni pensiero, con buona probabilità scoprirebbe un’enorme quantità di modelli che non gli appartengono e che ha fatto propri e persegue da sempre in maniera del tutto meccanica.

Ma questo si può fare al solo patto di non barare utilizzando una logica di comodo che chiude ogni tanto un occhio e lascia passare pur di non metterci in crisi sui quelli che soni i valori di sempre.
Sarebbe un lavoro straordinario volto alla scoperta di se stessi che darebbe risultati meravigliosi.

Per quanto riguarda lo zio, invece, a lui rimangono due scelte se vuole vivere nella coerenza. O cambia idea sul matrimonio o da domani si mette a lucidare il battistrada delle gomme ogni volta che lava la macchina.

                                                                                                Alberto Melari