Una banana fissata al muro con poche decine di centimetri di
nastro. Questa è l’ultima opera che ha stupito il mondo. Venduta per 120 mila
euro. La vendita naturalmente è parte integrante dell’opera. Come parte dell’opera
è il gesto di averla staccata e mangiata.
(D'altronde … al netto della malizia …
che altro vuoi farne di una banana?)
Pochi giorni dopo compare un murales che trasforma in slitta
trainata da surreali renne natalizie il letto arrangiato di un clochard che
dorme all’agghiaccio.
È arte. È l’arte dell’istallazione. Della provocazione. Del “gusto”
del ready-made. Oggi si fa così (si dice). E vengono osannati
come veri e propri geni coloro che hanno pensato e prodotto opere di questo
tipo finite su tutti i network di
informazione.
Ma come nasce l’arte contemporanea e come si colloca nella
storia della cultura occidentale? Qualcuno la fa iniziare con Duchamp e il suo
ardito gesto di proporre un orinatoio rovesciato.
Ma la vera origine del
fenomeno è da cercarsi molto prima, nella seconda metà dell‘800. I pionieri
involontari sono pittori come Paul Gauguin e Vincent Van Gogh. Cosa centrano questi con l’arte contemporanea?
vi starete chiedendo, visto che non l’hanno mai conosciuta, né fatta e né tantomeno
hanno contribuito alla sua nascita o al suo sviluppo.
E invece il loro contributo è stato grande, ma non è venuto
dalla loro opera, ma essenzialmente dalle loro vite. Entrambi sopravvissuti ad un’esistenza
di povertà e tormenti, subito dopo la loro morte, sono esplosi come esempi di
altissima espressione artistica. Le loro personalità sono passate alla storia
come troppo evolute perché i loro contemporanei potessero apprezzarne la
grandezza. Ed è sottile il fatto che il racconto straziante delle loro vite
maledette genera da sempre nel pubblico, oltre alla creazione del mito, il
senso di colpa per aver ignorato un fenomeno straordinario al momento del suo
nascere.
Da quell’esperienza in poi nel mondo dell’arte si è giustificata
la compulsione ad interessarsi di più a tutto ciò che è nuovo piuttosto che a tutto
ciò che è bello e artisticamente valido. Quasi a dover espiare il torto dell’aver
fatto morire di stenti dei grandi geni artistici. Su quella compulsione sono
nati il concetto di avanguardia e la bulimica corsa a fondare continue correnti
artistiche che ha caratterizzato tutta la modernità.
Dal radicarsi di quella compulsione si sono originate, oltre
a fenomeni di grande pregio, continue esigenze di rimettere sempre tutto in
discussione, persino l’essenza stessa e più profonda dell’arte, ignorando con
leggerezza i millenni in cui questa si è definita, in nome di un progresso dal
quale rimanere indietro è sempre apparso come il più grosso delitto che si
potesse compiere verso la personale crescita culturale.
Nel frattempo, così come il mago ti chiede di guardare con
attenzione la mano mentre con l’altra nasconde la carta, la speculazione sul
fenomeno ha preso inesorabilmente il sopravvento.
E così si è arrivati al punto
che diventa arte tutto ciò che si vuole lo diventi, manipolando a modo una
delle attività umane dove un tempo si creavano straordinarie occasioni di elevazione
per l’uomo, dove si generava bellezza sempiterna e si creavano occasioni di risveglio
delle migliori energie umane.
Cattelan e gli altri speculatori contemporanei non sono geni.
Un genio è colui che ha idee che oltrepassano le normali capacità umane. Appendere
una banana al muro invece significa semplicemente non avere idee.
Cattelan è un
uomo fortunato, perché qualcuno ha deciso che i riflettori debbano essere
puntati su uno qualunque di quelli che idee non ne hanno. Ed hanno scelto lui.
E
davvero non c’è altro da dire su questo.
Chi ci rimette sono quelli che talento ne avrebbero
veramente, totalmente ignorasti e tenuti volutamente lontani dal pubblico. Il
pubblico stesso, che deve essere nutrito di contenuti sterili, insignificanti e
depauperanti.
Nel frattempo, la civiltà che originò Leonardo, Michelangelo
e Raffaello, ha perso la capacità di distinguere bellezza, talento, qualità
estetica dalla banalità di un oggetto comune.
Questi sì, sono i veri segni di
una civiltà al tramonto.
C’è una caratteristica che distingue l’arte moderna da
tutto il flusso della storia dell’arte precedente.
E cioè, oltre
alle grandi menti artistiche che quel tempo ha prodotto, l’emergere di artisti
fasulli.
Ossia di artisti che hanno visto
elevarsi la loro fama e il loro lavoro a grandi livelli di riconoscimento e
considerazione, senza alcuna motivazione, considerando che le loro opere, da un
punto di vista artistico, formale e poetico, erano il nulla più assoluto.
Lucio Fontana, Yves Klein, Joseph Albers, Hans Hartung,
Robert Indiana, Jasper Jons … e molti, molti altri, le cui opere sono state il
ripetersi, quasi compulsivo, di sterili formule talvolta di una banalità
disarmante.
Macchie di colore accostate. Segni tirati a caso. Il
quadro vuoto e altre espressioni di altrettanta piattezza.
Si tratta di opere che passerebbero inosservate alla
vista di chiunque senza suscitare il benché minimo interesse, qualsiasi sia il
livello di cultura o di sensibilità artistica di chi le guarda.
Invece sono state elette ad icone del loro tempo e
guardate con riverenza da intere generazioni perché una specifica categoria di
persone, che passa sotto il nome di “critica dell’arte”, ha loro dedicato
un’attenzione costante e martellante per decenni.
Il meccanismo utilizzato.
Chi ha potuto portare avanti con successo
un’operazione di questo tipo, che ha coinvolto l’identità culturale dell’intero
occidente, ha potuto contare su strumenti di condizionamento mentale molto
raffinati, messi appunto, in campo artistico e in campo culturale in generale, allo
scopo di influenzare la cultura di intere messe per esercitare potere.
Questi meccanismi vanno a toccare sistemi inconsci che
annullano la capacità di senso critico facendo leva su esigenze fondamentali
dell’essere umano.
Adesso spiegherò come funzionano.
Prendiamo uno di questi artisti, Ad esempio Mark
Rothko. Le sue opere sono delle banali macchie di colore con contorni
indefiniti accostate fra loro in numero di poche unità. Qualcosa, non solo la
cui semplice esecuzione è alla portata di chiunque, ma anche di valore formale
assolutamente insignificante.
Come si riesce a far credere a intere masse che Rothko
è stato un grande artista? Vediamo quali sono i meccanismi che si attivano a
livello psicologico.
Quando il senso critico di un individuo è ancora
integro, questi comprende da sé che quelle opere non hanno alcun significato
artistico.
Ma quando viene a sapere che numerosissimi critici
hanno scritto su questo artista, che quelle opere sono state messe in grandi
musei, che le librerie ne riportano eleganti cataloghi cartonati, la sua
genuina impressione di avere di fronte un’opera di valore nullo si inibisce e subisce
un tracollo senza via di scampo.
Di fronte ad una forma di autorità la grande
maggioranza degli individui è abituata a subordinarsi.
Ma ammettiamo che la razionalità di una persona sia
così forte da riuscire a sottrarsi a questo processo, allora subentra un
secondo meccanismo insidioso. Quello dell’isolamento.
Quando tutti si sono adeguati all’idea che Rothko è un
grande artista da ammirare e conoscere, continuare a pensare che quelle opere
siano solo dei pastrocchi di colore senza alcun senso, ti isola totalmente da
un contesto sociale. La paura della solitudine, di una sorta di ‘emarginazione’
è la forza occulta che ti porterà ad accettare l’idea che quei pastrocchi di
colore siano invece opere monumentali.
Questo tipo di meccanismo viene descritto bene da Andersen
nella celebre favola dell’imperatore che riceve in dono un vestito magico. Di
questo vestito viene dette che può essere visto solo dalle persone
intelligenti. Il vestito in realtà non esiste, ma tutti fingeranno di vederlo
per paura di passare da stupidi.
Naturalmente il tutto avviene a livello inconscio,
senza che ce ne accorgiamo. E si viene indotti così verso un compromesso
interiore. Quello di accettare l’idea di dare un alto riconoscimento ad opere
di bassissimo livello in cambio della propria permanenza all’interno di un
contesto sociale, giustificando se stessi che in fondo si tratta solo di arte,
cioè di qualcosa che nella pratica non è assolutamente determinante, e nella
vita di tutti i giorni non comporterà obblighi di nessun tipo.
Cioè, veniamo indotti a svendere il nostro senso del
gusto in cambio della nostra accettazione da parte della società.
Perché esistono i falsi artisti
Ci sono vari motivi per cui esistono i falsi artisti.
Il primo, il più superficiale, riguarda il mercato.
per nutrirli di contenuti con effetto deteriorante.
Perché in questo modo si sviluppa il senso della qualità e quindi anche di ciò
che è migliore per se stessi.
Inoltre l’artista stesso, avendo prodotto opere di grande forza, diventa un
modello e una fonte di ispirazione per la capacità di liberare la parte
migliore di sé.
Si annulla la pretesa di essere circondati da cose di valore. Si assottiglia la capacità di essere critici.
Annullare il significato dell’arte significa togliere nutrimento alla nostra parte
emotiva, educarla ad un’esistenza povera.
L’arte è mercato. E chi gestisce il mercato preferisce
non dover dipendere dalla onerosa ricerca di talenti artistici. Né di dare loro
un qualche potere contrattuale.
Preferisce, visto che si può, creare fenomeni
artistici su misura, da accendere e spegnere a proprio piacimento. Controllati
e controllabili.
Ma esiste un altro e più subdolo motivo del trionfo di
un’arte senza significato.
Quello di ammaestrare le masse verso una cultura che renda sterili le sensibilità
e le intelligenze degli individui.
Viene sfruttata la poca coscienza che la maggior parte
delle persone ha dell’importanza della cultura,
In altre parole, mentre voi date all’arte, alla
letteratura, allo spettacolo, all’intrattenimento, alla cultura in generale,
un’importanza molto relativa, qualcuno sa perfettamente come questi contenuti
agiscono sulla parte più profonda di voi e riescono, tramite quella, ad
ottenere da voi l’identità che più gli fa comodo.
Mentre voi mantenete la convinzione di essere padroni
di voi stessi, qualcuno sa che le persone ubbidiscono fondamentalmente al
proprio inconscio e provvede a nutrirlo ad indirizzarlo, tramite contenuti
culturali svuotati di significato, verso una specifica direzione.
Vediamo qual è il diverso effetto che si ottiene da
una differente esposizione a prodotti culturali con valore opposto.
Contenuti di alto livello culturale che scuotono la
sensibilità dello spettatore hanno l’effetto di esaltare la sua personalità e
producono individui esigenti che consolidano la capacità di discernere su
tutto.
Contenuti culturalmente sterili producono personalità
sterili, malleabili e di facile manipolazione.
Un contatto diretto con contenuti di grande bellezza e
di alto valore artistico, a livello profondo, ha un effetto che si riverbera
nell’intera esistenza degli individui e li induce a desiderare quella bellezza in
ogni cosa della vita.
Opere vuote di significato, prodotte da artisti di
mediocre personalità, producono l’effetto inverso. Si confonde l’idea di
qualità. Si abbassa il livello di percezione delle cose.
Non c’è nulla di cui essere perplessi in tutto questo,
poiché l’inconscio funziona così. L’inconscio è fatto di energia emozionale. Si
nutre di emozioni. E l’arte è il principale veicolo di emozioni virtuose.
Differenti tipi di reazione.
A questo processo si può reagire con diversi tipi di
risposta.
Ad esempio, Se quanto detto fino ad ora su questi
artisti non vi sorprende né vi coinvolge, allora appartenete a quella esigua
categoria che ha sviluppato anticorpi forti contro questi meccanismi.
Una seconda categoria è quella delle persone cui
capita spesso di esprimere perplessità su questo tipo di arte, mantenendosi in
una posizione critica e prudente prima di far propri certi ideali artistici. Queste
persone, sospese fra la possibilità e il dubbio, tendono comunque a sottrarsi ad
un adeguamento e a mantenersi autentiche.
Molti invece, attraverso i meccanismi che abbiamo
descritto, sono arrivati ad eleggere quegli artisti a veri e propri beniamini
e, nei confronti di un’analisi come questa, in cui si è detto che sono un nulla
pompato ad arte, provano irritazione.
Queste persone, quando viene fatta loro notare la pochezza
di un certo tipo di arte, tendono a difenderla negandone l’insignificanza.
Si adoperano a supportarla con concetti del tipo “provocazione”,
“dissacrazione”, decontestualizzazione dell’oggetto” “negazione di” … non si sa
di cosa. Tutta una serie di espressioni mandate goffamente a memoria a seguito di
un sentito dire.
Immaginare una soluzione per persone così facilmente influenzabili e indottrinate
è molto difficile.
Quel sentito dire che ha la sua origine in un mondo
pseudointellettuale fatto da esperti (i critici) il cui unico talento è riuscire
a produrre discorsi macchinosi e contorti senza dire assolutamente nulla.
Quando lo schiavo arriva a difendere il padrone,
l’opera di formazione dello schiavo purtroppo è completata.
Come difendersi.
Smarcarsi da questi meccanismi non è semplice, poiché
non riguardano solo l’arte, ed entrano nelle nostre vite in maniera strisciante
attraverso tutti i media, nonché veicolati dal comportamento di chi ci vive intorno
e ne ha subito l’influenza.
Per quanto riguarda l’arte il mio consiglio è quello
di frequentare soprattutto l’arte antica. Cioè quelle opere che sono state
prodotte quando la piaga della critica dell’arte non esisteva ancora.
In Italia siamo fortunati perché ne siamo
magnificamente invasi.
I maestri del passato, che hanno forgiato le
fondamenta dell’estetica, gli spiriti virtuosi che hanno coniato i termini del
linguaggio artistico della nostra civiltà, sono voci troppo potenti per essere
azzittite, e rappresentano l’ostacolo più grande ad un sistematico abbrutimento
culturale.
Saranno loro a ricordarvi quanto in alto si può
elevare il genere umano, quel genere al quale anche voi appartenete. In questo
modo prendete coscienza delle alte potenzialità che potrebbero annidarsi in
ognuno.
Seguendo lentamente il filo sincero della tradizione,
lasciandosi affascinare in maniera schietta, la personale sensibilità alla
bellezza artistica si raffina.
La bellezza di quelle opere viene assorbita dal nostro
io più profondo e stimola la parte più nobile del nostro spirito, elevando una solida
barriera contro la fumosità di ogni relativismo estetico.
Se lo si fa in ogni settore della cultura, questo aiuta
a risvegliare la propria personalità che ritorna padrona di se stessa. Dapprima
nella capacità di discernere, in seguito in quella di generare la migliore
realtà intorno a sé.
A quel punto, il flusso inconsistente dell’arte
contemporanea o le tante vuote opere del panorama artistico del ‘900, non
troveranno alcuno spazio in un’anima così consolidata.
Rappresenteranno solo una manifestazione di follia collettiva
che non ci riguarda più.
Ed avremo preservato una parte importante di noi
stessi.
Alberto Melari
giovedì 17 ottobre 2019
Il racconto dell'uccisione di 3 uomini.
Sono andato a fare benzina al solito posto. Trovo il ragazzo
che lavora lì che scherza e sorride con un signore anziano.
Non capisco di cosa stiano parlando. Quando sono arrivato il discorso
era già iniziato.
Poi il signore dice “Io ho novant’anni!”. La frase mi
colpisce perché non li dimostra affatto. Allora mi intrometto e dico “Davvero
ha novant’anni?”. “Certo!” mi risponde “Ho fatto la guerra!”. Faccio un rapido
calcolo e capisco che è plausibile.
“Mi hanno pure sparato!” mi dice. Gli chiedo dove. Mi
risponde a Bolzano. Spiego che io intendevo in quale parte del corpo è stato
colpito. Mi indica il lato sinistro della pancia appena sopra al linguine.
Mi dice che spesso la gente non ci crede, e allora mostra la
ferita. Io gli dico che ci credo, però sono molto curioso di vederla lo stesso perché
non ho mai visto una ferita da arma da fuoco.
Mi spiega che non si tratta di un vero e proprio sparo, ma di
una scheggia. Cerca di farmi capire di che tipo di arma si trattava, mi parla
di una sorta di catena. Non ho idea a cosa si riferisse ma in seguito sembrava
abbastanza ovvio che si era trattato di una granata. Ha raccontato di averla
tenuta ben 55 anni quella scheggia. Poi, ad un certo punto, ha iniziato a
defecare ed orinare sangue. Solo allora ha scoperto di averla. Mi ha mostrato
una ferita simile ad una rientranza puntiforme. Come un ombelico.
Mi racconta che erano in tre alla frontiera con l’Austria.
Erano a presidiare il confine. Lui aveva 24 anni. Sono comparsi improvvisamente
tre austriaci e li hanno attaccati. Uno dei suoi compagni è rimasto gambizzato.
Lui è stato colpito sul ventre ma è riuscito ad estrarre una mitraglietta e li
ha freddati tutti e tre.
Mi ha detto che solo uno era ancora vivo e agonizzante dopo le
raffiche del mitra. Gli si è avvicinato e gli ha puntato l’arma in bocca, sul
palato, e lo ha finito.
Gli domando se aveva ucciso prima di allora o se gli era
capitato di farlo ancora. Mi ha detto di no. Quelli sono stati gli unici uomini
che si è trovato a dover ammazzare.
Gli ho chiesto cosa si provasse ad aver ammazzato tre uomini.
Mi ha risposto di non avere rimorsi. Lo capisco bene! Erano venuti per uccidere
quelli lì.
Ha aggiunto che quando ha raccontato la storia ad un prete,
questo si è scandalizzato. Gli ha detto che avrebbero dovuto risolvere la questione
parlando. E questa è stata l’unica cosa comica di tutto il racconto.
L’ho salutato e me ne sono andato. Avevo appena ascoltato una
storia straordinaria.
Alberto Melari
giovedì 3 ottobre 2019
Quando ti sembra che il ragionamento è giusto
La logica del vecchio zio
Ragionare non è poi tanto
difficile. Eppure innumerevoli volte accade che si crede di farlo bene e invece
si sta facendo tutt’altro.
Intanto diciamo che “ragionare”
significa semplicemente applicare la Ragione. Ovvero obbligare il pensiero a
seguire una serie di regole che nel loro insiemi si chiamano “regole logiche”.
Non sono molte queste regole.
Anzi. Direi che di fondo il meccanismo è solo uno. Quello del sillogismo.
Data un'affermazione A (vera) e un'affermazione B (vera) posso dedurre C, che è vera perché diretta
conseguenza di affermazioni vere.
Per non complicare le cose
utilizzeremo come esempio il più classico dei sillogismi.
A “Tutti i cani
hanno la coda”,
B “Questo qui è
un cane”.
Deduco C “Questo
qui ha la coda”.
Tempo fa ho incontrato casualmente
un parente che non frequentavo da anni. Un vecchio zio. Dopo un caloroso saluto
ci siamo raccontati un po’ di cose. Lui mi chiede della mia vita.
Gli dico che sono padre di due
bambini. “Ah! Ti sei sposato!” mi risponde. Gli spiego che no, non mi sono
sposato. Allora mi chiede di sapere di più. Gli spiego che ho una relazione
dalla quale sono nati i due bambini. Va tutto bene, viviamo tutti insieme, ma
non siamo sposati.
“E perché non ti sei sposato
allora?” domanda lui. “Perché non sarebbe cambiato niente con un matrimonio”
rispondo. Ed è a questo punto che parte con una domanda che secondo lui trova
un enorme senso nella logica più pura. “Se era la stessa cosa … allora perché non lo hai fatto?”
A questo punto capisco che
addrizzare un ragionamento storto, a chi già lo vede diritto è un’impresa senza
speranza. L’unica cosa da fare è percorrere una via alternativa.
Gli domando: “Tu lavi mai la tua auto?”.
“Certo! Ogni tanto lo faccio.”
“E quando la lavi, pulisci e lucidi con cura anche il battistrada
delle ruote?”
“Certo che no!” Mi risponde.
“E perché non lo fai?”
“Perché non appena con l’auto partirei, dopo solo pochi metri, sarebbe
sporco come prima!”
“Quindi lavarlo o non lavarlo sarebbe la stessa cosa.”
“Esatto” mi dice.
“Allora, se è la stessa cosa perché non lo lavi?”
Quale
risposta vuoi ancora dare ad una domanda come questa? Se adoperarsi per fare
una cosa o non farla non cambia assolutamente una realtà o una situazione,
chiunque ti direbbe, seguendo la logica, che quella cosa non va fatta perché sarebbe
un inutile spreco di energie.
Lo zio lo capisce
benissimo.
Eppure, una
logica così semplice ed efficace, quando l’ha applicata al matrimonio, il
risultato era del tutto opposto.
“Poiché
è inutile … allora andrebbe fatto.”
La sua reazione,
quando gli ho fatto notare l’incongruenza è stata quanto di più prevedibile.
Una serie di frasi sconclusionate, pronunciate prima ancora di essere del tutto
mentalmente concluse, spesso in contraddizione fra loro, spesso non finite.
Insomma un attorcigliamento di idee e di concetti strampalati pur di non dire: “Accidenti!
Hai ragione!”
La forza
occulta che ha piegato il suo ragionamento fino a far apparire logico quello
che è quanto di più illogico, è stata, naturalmente, la necessità di dare un
senso ad un’idea, nello specifico quella sul matrimonio, che non è una sua
idea, ma una delle tante che spesso si acquisiscono dall’esterno al solo scopo
di non sentirsi diversi. Un’idea fatta propria al solo proposito di adeguarsi
agl’altri. E poiché il processo non è proprio dignitoso, si fa passare quell’idea
per qualcosa di assolutamente logico, ma secondo una logica aggiustata all’occorrenza.
Ora, se
ciascuno di noi avesse la pazienza, durante il vivere quotidiano, di scremare
tutte le proprie idee, domandandosi continuamente “perché” ad ogni azione o ad
ogni pensiero, con buona probabilità scoprirebbe un’enorme quantità di modelli che
non gli appartengono e che ha fatto propri e persegue da sempre in maniera del
tutto meccanica.
Ma questo si
può fare al solo patto di non barare utilizzando una logica di comodo che
chiude ogni tanto un occhio e lascia passare pur di non metterci in crisi sui quelli
che soni i valori di sempre.
Sarebbe un lavoro straordinario volto alla scoperta di se stessi che darebbe
risultati meravigliosi.
Per quanto
riguarda lo zio, invece, a lui rimangono due scelte se vuole vivere nella
coerenza. O cambia idea sul matrimonio o da domani si mette a lucidare il
battistrada delle gomme ogni volta che lava la macchina.
Alberto
Melari
lunedì 16 settembre 2019
Imparate a fare sempre di tutta un’erba un
fascio.
Mi ricordo un fatto di attualità
di pochi anni fa. Scandali riguardanti il mondo del calcio. Era emerso il
solito giro di partite truccate, arbitri venduti, corruzione a tutti i livelli.
Seppure l’argomento non mi abbia
mai interessato, mi colpì il fatto che, una volta scoperchiata la pentola, si
riuscirono a spiegare vicende precedenti a cui in un primo momento erano state
date interpretazioni sbagliate.
Ad esempio, negl’anni precedenti alcuni
personaggi di lunga carriera si erano stranamente ritirati a vita privata pur
essendo ancora perfettamente in grado di ricoprire i propri ruoli.
Si capì solo dopo che quei
pensionamenti anticipati, che al tempo sembravano dettati da scelte di vita privata,
erano in realtà dovuti al rifiuto di doversi sporcare le mani nel continuare ad
operare in un ambiente marcio.
Il pensiero è andato a tutte
quelle volte che, in situazioni simili, quando emergevano casi di corruzione in
politica, nella finanza, nelle istituzioni, l’informazione predicava di evitare
di fare “di tutta un’erba un fascio”. Se in un partito o in un’istituzione o in
uno specifico ambiente emergevano dei corrotti, non bisognava dedurre che anche
gl’altri componenti del gruppo fossero altrettanto disonesti.
Si può a buona ragione ritenere
che esistano vari livelli di interpretazione di una realtà.
- - La
sensazione. È Il più basso di tutti. Quello narcisistico. Consiste
nell’interpretare la realtà in base a come noi la percepiamo. Se una specifica
situazione o persona a pelle non ci piace, si ha la tendenza a rendere quella
sensazione reale. Ad esempio, se la prima impressione che abbiamo di qualcuno è
quella di poca onestà, bolliamo la persona come disonesta. Allo stesso modo una
sensazione positiva ci fa giudicare buono qualcuno che in realtà non conosciamo
e non sappiamo com’è. Se si segue questa regola la vita può dare spesso delle
delusioni.
- - Il
principio. Far valere il principio significa non giudicare niente o nessuno
fintanto che questi non si manifesti con specifiche azioni o dichiarazioni.
Insomma, è quello che viene detto “garantismo” per cui tutti sono buoni e
onesti fintanto che qualcosa non ci dica il contrario. È quanto viene predicato,
ad esempio, a livello istituzionale o nel campo dell’informazione. Chi lo
adotta per la propria vita è di sicuro meno esposto rispetto a chi si muove per
sensazioni. Ma è comunque a rischio.
- - Il buon
senso. Il buon senso è uno dei concetti più difficili da definire. Ma anche
il livello più alto di interpretazione della realtà. Parte dalla sensazione. Non
la esclude. Tuttavia non la segue nella sua tendenza a trasformarsi in
giudizio. La fa passare attraverso la logica e, più spesso, attraverso
l’esperienza.
Nel caso degli ambienti corrotti,
applicare il buon senso significa procedere col ragionamento che segue.
Se fatti e situazioni dovessero
far emergere che uno specifico ambiante è fortemente corrotto, pensare che una
parte, magari minoritaria, sia rimasta integra e onesta è quantomeno molto
improbabile. E le vicende degli scandali del calcio ne sono una buona
dimostrazione.
Le persone veramente oneste, in
quel caso infatti, non hanno tollerato il progressivo inquinarsi dell’ambiente
e si sono defilate.
Se essere onesti significa avere
dei principi di onestà, permanere in un ambiente in cui quei principi vengono
sistematicamente calpestati sarà motivo di forte frustrazione che tenderà a trasformarsi
in una sensazione umanamente insopportabile.
È lecito credere che chi è
riuscito a permanere in un ambiente fortemente corrotto, come quello di un
partito politico colto da innumerevoli scandali, senza essere mai coinvolto,
non sia altrettanto eticamente retto rispetto a chi da quel sistema era
esterno.
La sua permanenza nell’ambiente può
essere interpretata in vari modi. Nessuno dignitoso purtroppo.
Se ha assistito al degradarsi
dell’ambiente circostante senza subire disagio, ciò significa che di certo
l’onestà non rientra fra i suoi principi fondamentali.
Se non si è accorto del crescente
dilagare della corruzione, ciò lo rende ingenuo e sprovveduto.
Se era semplicemente in attesa di
sfruttare l’ambiente degradato per buttarcisi dentro per fini personali ma non
ci è riuscito, ciò lo rende, oltre che non meno sporco degl’altri, un incapace.
Se invece non c’era niente di
tutto questo, significa banalmente che non lo hanno ancora preso.
Alberto Melari
domenica 1 settembre 2019
Se la droga è il potere.
Ludopatia. Tutti oggi conoscono
il significato di questa parola.
Un tempo era riservata ai soli
tecnici. Psicologi e studiosi del comportamento umano. Oggi, a causa della
grande diffusione del disturbo, il termine è diventato di uso comune.
Sembra non esserci niente di
buono in questo. Ed in effetti è così. Tuttavia, a voler cercare il positivo
ovunque, bisogna ammettere che questo fatto ha aperto la coscienza collettiva proprio
in tema di dipendenze.
Un tempo, a livello popolare, il
concetto di dipendenza era riservato alle sole sostanze d’abuso. Cocaina,
eroina ed altre. Al più si osava estenderlo al tabacco, all’alcool o alla
caffeina.
Oggi invece, proprio in seguito
alla grande diffusione del gioco d’azzardo, tutti sono consapevoli che una
dipendenza possa avere una natura diversa da quella chimica e possa trovare la
sua origine in gesti e comportamenti della più svariata natura che con l’assunzione
di una sostanza non hanno nulla a che fare.
In altre parole, si è maturata la
coscienza che si può anche dipendere da cose che non sono droghe.
‘Dipendere’ significa che i requisiti
di felicità o infelicità vengono attribuiti ad una condizione esterna. L’assenza
di questa condizione è motivo di forte malessere interiore così come la presenza
è scaturigine di appagamento.
Quando questo meccanismo è
attivo, l’essere umano somiglia ad una macchina che si adopera alla ripetizione
coatta di un gesto. Spesso il confine fra una naturale tendenza e una
dipendenza è molto sfumato. E questo rende tutto enormemente più complicato.
Dipendenze insidiose potrebbero
essere, ad esempio, il giudizio degl’altri, l’appartenenza ad un gruppo, la
vicinanza di una particolare persona e molto altro. Il fenomeno coinvolge moltissimi
individui purtroppo.
Essere emancipati da questo tipo
di meccanismi invece significa aver raggiunto la più autentica condizione di
libertà.
La vera natura di queste
dipendenze è materia di studio da anni di discipline alle quali si sono
applicate innumerevoli menti elette. Pertanto lasceremo a quelle le
considerazioni tecniche più raffinate.
Quello che ci preme fare in
questa trattazione è solamente una distinzione, che ha però un’importanza molto
rilevante.
Ci sono dipendenze che, nel
momento in cui agiscono, causano un danno solo a chi ne è schiavo. Le
dipendenze da sostanze sono l’esempio più concreto. Se una persona si droga,
nuoce a sé stessa. Non nuoce a qualcun altro.
In realtà, per completezza, dovremmo
aggiungere che questa persona, persistendo nella condizione di
tossicodipendenza, potrà essere causa di forte dispiacere a tutti coloro che
hanno con lei un legame affettivo. Anche la società subisce un danno a causa dal
potenziale inespresso dall’individuo che si droga. Inoltre, consumando droga, questa
persona favorisce l’attività criminale. Tutto molto grave … ma niente di più!
C’è una forma di dipendenza
invece che, nel suo attuarsi, moltiplica i danni a livelli inimmaginabili ben
al di fuori della sola persona che ne è affetta.
È la dipendenza dal
potere.
Ci sono persone che soffrono di
una disfunzione che consiste nel sentirsi paghe della vita solo quando
ricoprono posizioni di grande potere da esercitare nei confronti di intere
società. In genere, queste persone, cercano il loro appagamento nel campo della
politica, ovvero nel luogo dove per lo più il potere si esercita.
Le persone in cui questa
dipendenza è attiva sono dunque quasi sempre dei politici. È in questa classe
che vanno ricercati i soggetti più gravi affetti da questa patologia.
La loro caratteristica più deleteria
è nel fatto che non si adoperano per rendere migliore la realtà che si trovano
ad amministrare, ma sono mossi dal solo scopo di esercitare potere sugl’altri.
Senza di quello soffrirebbero di vere e proprie crisi di astinenza. Pertanto le
posizioni di potere vengono mantenute ad ogni costo. Corruzione, inclinazione a
instaurare meccanismi di controllo, scambi di favori, compromessi scelerati,
tendenza a chiudersi in un élite dominante.
Diversamente dal
tossicodipendente, a rimetterci questa volta è l’intera comunità che subisce
l’esercizio di quel potere per nulla finalizzato al benessere comune ma indirizzato
unicamente alla nutrizione di un ego perverso e scellerato. È un potere che si
può definire malato.
Purtroppo c’è una questione molto
più grave da considerare. Quanto è malata quella comunità che sceglie di farsi
rappresentare da persone con una natura così distorta?
Alberto Melari
lunedì 22 luglio 2019
Come si solleva una montagna.
In un articolo
precedente ho già trattato dell’energia di cui è dotato un essere
umano. Ho spiegato che questa energia è immensa. Già! Ma immensa quanto?
Un’idea di
questa immensità viene espressa nel Vangelo di Matteo.
Se
avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: «Spòstati da qui a là», ed esso si sposterà, e nulla vi sarà
impossibile.
Matteo 17, 20
Secondo questa affermazione
sembrerebbe che, per dotarsi di questa energia, essenziale sarebbe avere fede.
L’interpretazione che si è sempre data della frase “Se avete fede …” è quella della fede nel Dio cristiano. Questa non
è certo né la prima, né l’unica spiegazione superficiale che sì dà di pensieri espressi
nei Vangeli che portano verità di valore immenso ridotte, in questo modo, a
banalità di basso buonismo.
Essendo concreti bisognerà
ricordare un paio di concetti che non lasciano scampo a nessuna interpretazione
di tradizione clericale.
1 – Uomini che hanno agito come
se nulla gli fosse impossibile ce ne sono stati molti nella storia e
professavano le fedi più disparate. Persino uomini di nessuna fede.
2 – Nessuno ha mai visto un uomo
che con la sola forza della fede cristiana abbai comandato ad una montagna di
sollevarsi e spostarsi.
Quell’affermazione del Vangelo riporta
una verità di grande valore solo se viene decifrata nel modo appropriato.
La fede di cui si parla non è la
fede in Dio il quale, in ragione di quella fede, dovrebbe infondere una forza immensa
ad un suo adepto. La fede è intesa come l’avere fiducia che Dio (…o la natura,
se la parola vi disturba) abbia già agito su ogni essere umano dotandolo, fin
dalla sua comparsa sulla terra, di immense quantità di energia in misura tale
da compiere opere di straordinaria grandezza.
Per quanto riguarda invece la
possibilità di dire ad una montagna di spostarsi “da qui a là”, occorre semplicemente aggiungere che questo è
potenzialmente ed effettivamente nelle possibilità di chiunque, ma ad una serie
di condizioni. Una di queste, ad esempio, è che ci sia un valido motivo
affinché quella montagna si debba spostare, e che non sia un grossolano gesto di
inutile sfoggio di potenza.
A questo punto non mi resta che trovare
esempi che dimostrino quanto detto. Dovrò limitarmi, visto che ne esistono a
centinaia, altrimenti questo resoconto si prolungherebbe per giorni interi.
Il primo esempio che mi viene in
mente è quello dell’ingegnere Luigi Negrelli, colui che concepì, progettò e
propose alle autorità del tempo, la costruzione del Canale di Suez, ovvero quel
canale che collega il Mediterraneo al Mar Rosso e quest’ultimo all’Oceano Indiano.
Questo esempio è migliore di altri
solo per un motivo. Perché è il più vicino a quello espresso nel Vangelo, in
cui si dice che un uomo ha facoltà di sollevare una montagna. Negrelli non
avrebbe sollevato una montagna, ma unito ben tre mari, e, allo stesso modo di
chi solleva una montagna, ha modificato pesantemente la geografia di intere
nazioni.
Nel caso suddetto, rispetto a quello
che viene espresso nella frase del Vangelo, ci si stupisce per alcuni dettagli.
Il fatto che qualcosa di grandioso sia avvenuto non miracolosamente, ma nella
maniera più concreta possibile. Non con un comando dato a voce ma con l’aiuto
di grandi istituzioni e l’avallo di interi popoli. Non in un istante, ma con i
tempi necessari al compiersi di una grande opera.
Tuttavia, tutto è partito da una
semplice intuizione di un uomo e dalla sua determinazione e veder realizzata l’idea
contenuta in quell’intuizione.
A questo punto, una volta capita
la vera natura di questa energia ed il modo come questa si esprime, si può
facilmente immaginare che chiunque abbia compiuto grandi opere e cambiato qualcosa
di importante nel mondo può essere un buon esempio di uomo che ha avuto fede che
“nulla sarà impossibile”.
Chiunque sia stato capace di
realizzare progetti che di partenza richiedevano un dispiegamento di forze
abnorme, ha agito secondo questo meccanismo. Dapprima ha avuto un’intuizione. In
seguito ha creduto (… ed è questa è la fede di cui parla il Vangelo) nella sua
realizzazione senza subire alcun turbamento per l’immane sforzo che questa
comportava.
Resta da domandarci quel è il
motivo per cui solo pochi siano riusciti in questo, se è vero che ad ogni uomo
è potenzialmente dato di riuscirci. E perché molti non riescono neanche a
realizzare progetti di basse pretese.
Il motivo sono le mille falle
attraverso cui, tutta l’energia di cui siamo dotati, viene, dalla maggior parte
delle persone, quotidianamente dispersa, il più delle volte per alimentare
blocchi personali o convinzioni improduttive ed inutili. Queste falle sono rappresentate
per lo più da tutta una serie di opinioni negative, che durante la vita si
maturano, sul mondo e su noi stessi. Tali convinzioni sono origine di malesseri
che tendono a stabilirsi in noi ed a nutrirsi, spesso voracemente, di
quell’energia di cui dovremmo beneficiare per la realizzazione di grandi
progetti.
Dedicarsi a sottrarre nutrimento
a questi demoni
e a veicolare le proprie energie verso le nostre concrete aspirazioni è già un
proposito di alto livello e un passo concreto verso la più autentica libertà.
Alberto Melari
lunedì 15 luglio 2019
La storia degli scambisti.
Cos’è l’anima.
Oggi vi dirò cos’è l’anima.
Ma prima parliamo di R., un
ragazzo di circa trent’anni, atletico, bello. R. ha vissuto numerose storie
d’amore molto intense ed ha sempre avuto una vita affettiva molto vivace.
Tuttavia R. ha sempre vissuto un certo disagio a causa del lavoro. Le cose non
sono mai andate troppo bene. Non riesce ad essere costante negli impegni
professionali e perde spesso il lavoro. Non ha mai acquisito una vera
professionalità.
T. ed R. si sono conosciti da
poco. T. è un signore molto in sovrappeso. È da sempre così. Ha qualche anno in
più di R. ma ha avuto pochissime esperienze affettive, poco interessanti ma
soprattutto finite male. È un ottimo professionista. Nell’ambiente di lavoro è
stimato e considerato uno di quelli capaci di fare la differenza.
I due si sono conosciuti. Ma non
si stimano affatto. Ognuno prova una profonda invidia per l’altro. R. vorrebbe
avere le soddisfazioni economiche e professionali di T.
T. immagina sempre con
invidia le serate di passione di R. insieme a donne bellissime. Ma di fondo si
guardano con un sentimento quasi di pietà l’uno per l’altro.
Com’è che si sono incontrati? È
stato Gonzalo a farli conoscere. Un personaggio singolare di origine guatemalteca,
proveniente da una famiglia di tradizione sciamanica. Se non li avesse
convocati lui i due non si sarebbero mai incontrati. Ed anche adesso che sono
insieme sembrano respingersi.
Gonzalo, che li conosce entrambi approfonditamente,
fa loro una proposta stravagante, assurda e fuori da ogni logica. Propone uno
scambio di anime.
I due dapprima rimangono
sbalorditi. Poi divertiti perché non riescono a prendere sul serio la cosa. Ma Gonzalo
ribadisce di essere serissimo. Ed entrambi lo conoscono come persona affidabile.
Le loro menti non sanno concepire la cosa, ma l’idea di T., di acquisire le
doti di seduttore di R. è molto allettante. Allo stesso modo R. rimane affascinato
dall’idea di raggiungere di colpo la posizione professionale e finanziaria di
T. Pertanto accettano.
Gonzalo compie il suo rito.
Allestisce l’ambiente. Li fa stendere. Somministra estratti naturali. Invoca
spiriti di vario tipo. I due entrano in stati di coscienza alterati e in tempi
indefinibili si compie qualcosa che collassa in uno stato di profondo torpore.
Il risveglio sarà dei più duri. Con forti mal di testa, spossatezza e
stordimento.
Quando i due si risvegliano sanno
di essere ognuno nel corpo e nella mente dell’altro. La sensazione è
stranissima. Passano momenti di forte stupore nel quale vorrebbero permanere.
Ma Gonzalo li incita ad andare e ad occuparsi finalmente delle loro vite. Ognuno
dovrà entrare nel mondo dell’altro. Con tutti gli strumenti che l’altro ha
raffinato col tempo. I due vanno. Assaporano già le gioie che la nuova
situazione promette di dare.
T. rientra nell’ambiente di
lavoro. Viene da tutti salutato con rispetto ed accolto come un leader. Chiama
a riunione i suoi collaboratori e inizia a distribuire compiti e
responsabilità. Sente che la sua mente è dotata di tutte le nozioni necessarie
per lo svolgimento di quei compiti. Il conto in banca è rassicurante. Finalmente!
R. si tocca i bicipiti, sente il
corpo turgido ed elastico. Si sente leggero. Elegante nei movimenti. Accarezza
i capelli folti e ammira allo specchio una fisionomia perfetta. Ha voglia di
uscire. Quella sensazione di leggerezza è meravigliosa. Esce e si mette a
correre nel parco. Dopo poco incrocia una bellissima donna bionda, anche lei
intenta a fare jogging. Lo riconosce e lo affianca. Corrono insieme e parlano.
Si danno un appuntamento per la sera. R. non vede l’ora di uscire con lei.
Passa qualche giorno. R. ha avuto
più di un’esperienza amorosa. È al settimo cielo. Però una mattina bussa alla
porta un creditore che avanza la richiesta di soldi dovuti già da tempo. In
casa non c’è denaro e il conto in banca è quasi al rosso. Non è abituato a
quella situazione. Non la sopporta. Decide di darsi da fare. Esce e va a
cercare un lavoro.
T., dopo varie giornate in
azienda, cene di lavoro in cui ha sperimentato un grande riconoscimento
professionale, avrebbe voglia di prendersi un po’ di tempo libero. Nello staff
di lavoro c’è una giovane donna molto interessante. Vorrebbe invitarla a cena.
Coglie l’occasione di un momento in cui è da sola ed inizia ad approcciarsi a
lei. Appena pronuncia le prime parole la donna è rapidissima a interromperlo e
spostare il discorso su altro. Ed il deciso gesto di mettersi di spalle non
lascia dubbi. Non ne vuole sapere.
T. deluso si allontana. Ci è
rimasto male. Ha voglia di farsi una bella camminata. Esce e se ne va un po’ in
strada. Ma dopo poco sente il fiato grosso e i movimenti lenti e pesanti dell’immensa
massa corporea sono fastidiosissimi. Da subito decide di mettersi a dieta e di
fare regolarmente movimento.
Passa dell’altro tempo. R. non
solo ha trovato lavoro ed ha saldato i debiti, ma ha anche avuto delle
promozioni. È stato apprezzato per il proprio impegno ed ha avuto la promessa
di posizioni migliori nel prossimo futuro. Però la sua massa muscolare ha
incominciato ad inflaccidirsi. Ha preso peso perché spesso sente il bisogno di
abbuffarsi. Anche le sue amanti glielo hanno fatto notare. Una ha avuto il
coraggio di dirgli che, durante una serata insieme, non è stata molto bene. E
il motivo è stato che lui era piuttosto noioso e poco interessate.
T. invece ha perso molto peso. Ha
raggiunto una buona forma fisica. La sua collega lo ha notato e un giorno gli
ha fatto i complimenti per il suo aspetto davvero migliorato. Però nel lavoro c’è
stato qualche problema. Ultimamente ha combinato qualche guaio ed è stato
ripreso dalla direzione aziendale. Sono stati molto chiari. Se dovesse accadere
di nuovo la sua presenza in azienda sarà a forte rischio.
Capito cos’è l’anima?
Alberto Melari
lunedì 8 luglio 2019
Il regno delle immense energie
Tutti sanno che Sigmund Freud
teorizzò l’esistenza dell’inconscio. Nel mondo della divulgazione esiste un modello
molto utilizzato che è quello dell’iceberg.
L’iceberg, la montagna di ghiaccio
galleggiante, appare come un’immensa cima che emerge dal mare. Dell’iceberg si sa che la porzione che emerge
è solo una piccolissima parte. La grande parte della massa ghiacciata si trova
al di sotto del mare e non si vede.
Nel modello, la parte che emerge,
rappresenta l’Io cosciente, ovvero tutto ciò che ciascuno sa di se stesso. Le
proprie idee, le proprie convinzioni, le proprie aspirazioni. La parte sommersa
e nascosta rappresenta l’inconscio. L’inconscio è la parte di noi che fa
scelte, dà direttive, crea la realtà intorno a noi. Di questa parte noi non
sappiamo nulla.
In effetti questo parallelo è
perfetto poiché, ci spiegano gli analisti, se potessimo dimensionarlo,
l’inconscio è molto ma molto più grande dell’Io cosciente.
L’iceberg è fatto di ghiaccio. Lo
sappiamo. Invece l’Io di cosa è fatto?
Già… perché il giaccio è una
massa solida. Ha un peso e un volume. E affermare che quello sommerso è molto
di più di quello emerso ha un senso concreto. Invece cosa significa dire che la
nostra parte inconscia è molto più grande di quella cosciente?
Quando si parla di queste
categorie psichiche si parla in termini di “energia psichica”. Gli elementi
che contengono questa energia sono le pulsioni. Affermare che l’inconscio è
grande significa che la stragrande maggioranza dell’energia è contenuta lì. E
di quell’energia si sa che è presente in quantità enorme.
Supponiamo di chiedere a qualcuno
quale sia la propria aspirazione. Supponiamo che questi ci dica che la sua
volontà sia quella di diventare ricco. Questa affermazione naturalmente deriva
dalla sua parte cosciente (la parte emersa dell’iceberg). Supponiamo ora di andare ad analizzare la sua vita. Immaginiamo
tre scenari fra i tanti possibili.
Primo scenario - La sua
situazione economica è in crescita. Ma quella crescita è ben lontana dagli
obbiettivi a cui egli dice di aspirare. Tuttavia è diventato un ottimo insegnante
e si sta realizzando nella formazione degl’altri.
Secondo scenario - Si sta
effettivamente arricchendo.
Terzo scenario - Si impoverisce
sempre di più.
Solo il secondo scenario è
effettivamente coerente con quello che coscientemente egli afferma di volere.
Perché invece in molti casi non avviene quello per cui si sta agendo?
Nel primo caso dobbiamo
presuppore che, a livello cosciente, questa persona aspira a grandi ricchezze.
Ma a livello inconscio questa aspirazione non è poi così forte. Per questo il
suo arricchirsi non corrisponde a quello che effettivamente egli dice di
volere. Ci sono altre pulsioni che frenano la corsa verso la realizzazione. Ci
sono pulsioni, nel mondo sommerso del suo inconscio, che lo portano a realizzarsi,
ma non in ciò che egli coscientemente vuole, ma in tutt’altro campo.
Nel terzo caso il suo inconscio
viaggia esattamente in maniera opposta a quelle che sono le sue aspirazioni.
Questo scenario è inevitabilmente causa di sofferenza. La sofferenza non deriva
dalla povertà in se stessa. Bensì dal contrasto fra ciò a cui egli aspira e la
realizzazione nella realtà del suo contrario. Se aspirasse ad una vita ascetica
o mistica che contempla la povertà, ad esempio, la condizione di miseria non
sarebbe affatto una sofferenza.
Ad ogni modo la conclusione che
trarremo è che la realtà che si realizza è sempre quella delle pulsioni
inconsce. Perché, come abbiamo detto parlando del modello dell’iceberg, è lì che si annidano le grandi
energie. Quando queste sono in accordo con le nostre aspirazioni la vita scorre
piacevolmente.
Quando invece l’inconscio si
muove in altre direzioni o addirittura in maniera opposta a ciò che vorremmo
sul piano cosciente, si scatenano malesseri e insoddisfazioni. Talvolta si
entra in casi di sofferenza grave e occorre rivolgersi a qualcuno.
Il compito del terapeuta è
proprio quello di individuare nell’inconscio la pulsione che si muove in senso
contrario e renderla nota al paziente. Una pulsione, quando viene portata alla
luce, da inconscia diviene cosciente. In altre parole passa dalla parte
sommersa dell’iceberg a quella
emersa. Passa cioè dal luogo dove ci sono enormi energie a quello dove le
energie sono più deboli. In questo modo la pulsione perde la sua forza e
l’equilibrio psichico si ristabilisce.
Naturalmente tutto questo
discorso altro non è che una sintesi di qualcosa di molto noto ormai anche a
livello di cultura popolare. Al più può essere una buona puntualizzazione.
La domanda che voglio lasciare
aperta invece è la seguente. Cosa potrebbe avvenire se si potesse operare il
processo in modo contrario a quello della terapia? Ovvero, quale immensa potenza
potrebbe raggiungere un essere umano se potesse “spingere” una sua aspirazione
cosciente nelle profondità dell’inconscio, dove questa si caricherebbe di
energie enormi? È possibile far accadere questo?