mercoledì 11 dicembre 2019

L'arte del nulla.




Una banana fissata al muro con poche decine di centimetri di nastro. Questa è l’ultima opera che ha stupito il mondo. Venduta per 120 mila euro. La vendita naturalmente è parte integrante dell’opera. Come parte dell’opera è il gesto di averla staccata e mangiata.

(D'altronde … al netto della malizia … che altro vuoi farne di una banana?)

Pochi giorni dopo compare un murales che trasforma in slitta trainata da surreali renne natalizie il letto arrangiato di un clochard che dorme all’agghiaccio.

È arte. È l’arte dell’istallazione. Della provocazione. Del “gusto” del ready-made.  Oggi si fa così (si dice). E vengono osannati come veri e propri geni coloro che hanno pensato e prodotto opere di questo tipo finite su tutti i network di informazione.

Ma come nasce l’arte contemporanea e come si colloca nella storia della cultura occidentale? Qualcuno la fa iniziare con Duchamp e il suo ardito gesto di proporre un orinatoio rovesciato. 

Ma la vera origine del fenomeno è da cercarsi molto prima, nella seconda metà dell‘800. I pionieri involontari sono pittori come Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.  Cosa centrano questi con l’arte contemporanea? vi starete chiedendo, visto che non l’hanno mai conosciuta, né fatta e né tantomeno hanno contribuito alla sua nascita o al suo sviluppo.

E invece il loro contributo è stato grande, ma non è venuto dalla loro opera, ma essenzialmente dalle loro vite. Entrambi sopravvissuti ad un’esistenza di povertà e tormenti, subito dopo la loro morte, sono esplosi come esempi di altissima espressione artistica. Le loro personalità sono passate alla storia come troppo evolute perché i loro contemporanei potessero apprezzarne la grandezza. Ed è sottile il fatto che il racconto straziante delle loro vite maledette genera da sempre nel pubblico, oltre alla creazione del mito, il senso di colpa per aver ignorato un fenomeno straordinario al momento del suo nascere.

Da quell’esperienza in poi nel mondo dell’arte si è giustificata la compulsione ad interessarsi di più a tutto ciò che è nuovo piuttosto che a tutto ciò che è bello e artisticamente valido. Quasi a dover espiare il torto dell’aver fatto morire di stenti dei grandi geni artistici. Su quella compulsione sono nati il concetto di avanguardia e la bulimica corsa a fondare continue correnti artistiche che ha caratterizzato tutta la modernità.

Dal radicarsi di quella compulsione si sono originate, oltre a fenomeni di grande pregio, continue esigenze di rimettere sempre tutto in discussione, persino l’essenza stessa e più profonda dell’arte, ignorando con leggerezza i millenni in cui questa si è definita, in nome di un progresso dal quale rimanere indietro è sempre apparso come il più grosso delitto che si potesse compiere verso la personale crescita culturale.

Nel frattempo, così come il mago ti chiede di guardare con attenzione la mano mentre con l’altra nasconde la carta, la speculazione sul fenomeno ha preso inesorabilmente il sopravvento.

E così si è arrivati al punto che diventa arte tutto ciò che si vuole lo diventi, manipolando a modo una delle attività umane dove un tempo si creavano straordinarie occasioni di elevazione per l’uomo, dove si generava bellezza sempiterna e si creavano occasioni di risveglio delle migliori energie umane.

Cattelan e gli altri speculatori contemporanei non sono geni. Un genio è colui che ha idee che oltrepassano le normali capacità umane. Appendere una banana al muro invece significa semplicemente non avere idee. 
Cattelan è un uomo fortunato, perché qualcuno ha deciso che i riflettori debbano essere puntati su uno qualunque di quelli che idee non ne hanno. Ed hanno scelto lui. 

E davvero non c’è altro da dire su questo.

Chi ci rimette sono quelli che talento ne avrebbero veramente, totalmente ignorasti e tenuti volutamente lontani dal pubblico. Il pubblico stesso, che deve essere nutrito di contenuti sterili, insignificanti e depauperanti.

Nel frattempo, la civiltà che originò Leonardo, Michelangelo e Raffaello, ha perso la capacità di distinguere bellezza, talento, qualità estetica dalla banalità di un oggetto comune. 
Questi sì, sono i veri segni di una civiltà al tramonto.

                                Alberto Melari


giovedì 24 ottobre 2019

I Falsi Artisti (video)




C’è una caratteristica che distingue l’arte moderna da tutto il flusso della storia dell’arte precedente.
E cioè, oltre alle grandi menti artistiche che quel tempo ha prodotto, l’emergere di artisti fasulli.

Ossia di artisti che hanno visto elevarsi la loro fama e il loro lavoro a grandi livelli di riconoscimento e considerazione, senza alcuna motivazione, considerando che le loro opere, da un punto di vista artistico, formale e poetico, erano il nulla più assoluto.

Lucio Fontana, Yves Klein, Joseph Albers, Hans Hartung, Robert Indiana, Jasper Jons … e molti, molti altri, le cui opere sono state il ripetersi, quasi compulsivo, di sterili formule talvolta di una banalità disarmante.

Macchie di colore accostate. Segni tirati a caso. Il quadro vuoto e altre espressioni di altrettanta piattezza.

Si tratta di opere che passerebbero inosservate alla vista di chiunque senza suscitare il benché minimo interesse, qualsiasi sia il livello di cultura o di sensibilità artistica di chi le guarda.

Invece sono state elette ad icone del loro tempo e guardate con riverenza da intere generazioni perché una specifica categoria di persone, che passa sotto il nome di “critica dell’arte”, ha loro dedicato un’attenzione costante e martellante per decenni.

Il meccanismo utilizzato.

Chi ha potuto portare avanti con successo un’operazione di questo tipo, che ha coinvolto l’identità culturale dell’intero occidente, ha potuto contare su strumenti di condizionamento mentale molto raffinati, messi appunto, in campo artistico e in campo culturale in generale, allo scopo di influenzare la cultura di intere messe per esercitare potere.

Questi meccanismi vanno a toccare sistemi inconsci che annullano la capacità di senso critico facendo leva su esigenze fondamentali dell’essere umano.

Adesso spiegherò come funzionano.

Prendiamo uno di questi artisti, Ad esempio Mark Rothko. Le sue opere sono delle banali macchie di colore con contorni indefiniti accostate fra loro in numero di poche unità. Qualcosa, non solo la cui semplice esecuzione è alla portata di chiunque, ma anche di valore formale assolutamente insignificante.

Come si riesce a far credere a intere masse che Rothko è stato un grande artista? Vediamo quali sono i meccanismi che si attivano a livello psicologico.

Quando il senso critico di un individuo è ancora integro, questi comprende da sé che quelle opere non hanno alcun significato artistico.

Ma quando viene a sapere che numerosissimi critici hanno scritto su questo artista, che quelle opere sono state messe in grandi musei, che le librerie ne riportano eleganti cataloghi cartonati, la sua genuina impressione di avere di fronte un’opera di valore nullo si inibisce e subisce un tracollo senza via di scampo.

Di fronte ad una forma di autorità la grande maggioranza degli individui è abituata a subordinarsi.

Ma ammettiamo che la razionalità di una persona sia così forte da riuscire a sottrarsi a questo processo, allora subentra un secondo meccanismo insidioso. Quello dell’isolamento.

Quando tutti si sono adeguati all’idea che Rothko è un grande artista da ammirare e conoscere, continuare a pensare che quelle opere siano solo dei pastrocchi di colore senza alcun senso, ti isola totalmente da un contesto sociale. La paura della solitudine, di una sorta di ‘emarginazione’ è la forza occulta che ti porterà ad accettare l’idea che quei pastrocchi di colore siano invece opere monumentali.

Questo tipo di meccanismo viene descritto bene da Andersen nella celebre favola dell’imperatore che riceve in dono un vestito magico. Di questo vestito viene dette che può essere visto solo dalle persone intelligenti. Il vestito in realtà non esiste, ma tutti fingeranno di vederlo per paura di passare da stupidi.

Naturalmente il tutto avviene a livello inconscio, senza che ce ne accorgiamo. E si viene indotti così verso un compromesso interiore. Quello di accettare l’idea di dare un alto riconoscimento ad opere di bassissimo livello in cambio della propria permanenza all’interno di un contesto sociale, giustificando se stessi che in fondo si tratta solo di arte, cioè di qualcosa che nella pratica non è assolutamente determinante, e nella vita di tutti i giorni non comporterà obblighi di nessun tipo.

Cioè, veniamo indotti a svendere il nostro senso del gusto in cambio della nostra accettazione da parte della società.

Perché esistono i falsi artisti

Ci sono vari motivi per cui esistono i falsi artisti. 

Il primo, il più superficiale, riguarda il mercato.
per nutrirli di contenuti con effetto deteriorante.
Perché in questo modo si sviluppa il senso della qualità e quindi anche di ciò che è migliore per se stessi.
Inoltre l’artista stesso, avendo prodotto opere di grande forza, diventa un modello e una fonte di ispirazione per la capacità di liberare la parte migliore di sé.
Si annulla la pretesa di essere circondati da cose di valore. Si assottiglia la capacità di essere critici.
Annullare il significato dell’arte significa togliere nutrimento alla nostra parte emotiva, educarla ad un’esistenza povera.

L’arte è mercato. E chi gestisce il mercato preferisce non dover dipendere dalla onerosa ricerca di talenti artistici. Né di dare loro un qualche potere contrattuale.

Preferisce, visto che si può, creare fenomeni artistici su misura, da accendere e spegnere a proprio piacimento. Controllati e controllabili.

Ma esiste un altro e più subdolo motivo del trionfo di un’arte senza significato. 
Quello di ammaestrare le masse verso una cultura che renda sterili le sensibilità e le intelligenze degli individui.

Viene sfruttata la poca coscienza che la maggior parte delle persone ha dell’importanza della cultura,

In altre parole, mentre voi date all’arte, alla letteratura, allo spettacolo, all’intrattenimento, alla cultura in generale, un’importanza molto relativa, qualcuno sa perfettamente come questi contenuti agiscono sulla parte più profonda di voi e riescono, tramite quella, ad ottenere da voi l’identità che più gli fa comodo.

Mentre voi mantenete la convinzione di essere padroni di voi stessi, qualcuno sa che le persone ubbidiscono fondamentalmente al proprio inconscio e provvede a nutrirlo ad indirizzarlo, tramite contenuti culturali svuotati di significato, verso una specifica direzione.

Vediamo qual è il diverso effetto che si ottiene da una differente esposizione a prodotti culturali con valore opposto.

Contenuti di alto livello culturale che scuotono la sensibilità dello spettatore hanno l’effetto di esaltare la sua personalità e producono individui esigenti che consolidano la capacità di discernere su tutto.


Contenuti culturalmente sterili producono personalità sterili, malleabili e di facile manipolazione.
Un contatto diretto con contenuti di grande bellezza e di alto valore artistico, a livello profondo, ha un effetto che si riverbera nell’intera esistenza degli individui e li induce a desiderare quella bellezza in ogni cosa della vita.


Opere vuote di significato, prodotte da artisti di mediocre personalità, producono l’effetto inverso. Si confonde l’idea di qualità. Si abbassa il livello di percezione delle cose.

Non c’è nulla di cui essere perplessi in tutto questo, poiché l’inconscio funziona così. L’inconscio è fatto di energia emozionale. Si nutre di emozioni. E l’arte è il principale veicolo di emozioni virtuose.

Differenti tipi di reazione.

A questo processo si può reagire con diversi tipi di risposta.

Ad esempio, Se quanto detto fino ad ora su questi artisti non vi sorprende né vi coinvolge, allora appartenete a quella esigua categoria che ha sviluppato anticorpi forti contro questi meccanismi.

Una seconda categoria è quella delle persone cui capita spesso di esprimere perplessità su questo tipo di arte, mantenendosi in una posizione critica e prudente prima di far propri certi ideali artistici. Queste persone, sospese fra la possibilità e il dubbio, tendono comunque a sottrarsi ad un adeguamento e a mantenersi autentiche.

Molti invece, attraverso i meccanismi che abbiamo descritto, sono arrivati ad eleggere quegli artisti a veri e propri beniamini e, nei confronti di un’analisi come questa, in cui si è detto che sono un nulla pompato ad arte, provano irritazione.
Queste persone, quando viene fatta loro notare la pochezza di un certo tipo di arte, tendono a difenderla negandone l’insignificanza.

  Si adoperano a supportarla con concetti del tipo “provocazione”, “dissacrazione”, decontestualizzazione dell’oggetto” “negazione di” … non si sa di cosa. Tutta una serie di espressioni mandate goffamente a memoria a seguito di un sentito dire.
Immaginare una soluzione per persone così facilmente influenzabili e indottrinate è molto difficile.

Quel sentito dire che ha la sua origine in un mondo pseudointellettuale fatto da esperti (i critici) il cui unico talento è riuscire a produrre discorsi macchinosi e contorti senza dire assolutamente nulla.
Quando lo schiavo arriva a difendere il padrone, l’opera di formazione dello schiavo purtroppo è completata. 

Come difendersi.

Smarcarsi da questi meccanismi non è semplice, poiché non riguardano solo l’arte, ed entrano nelle nostre vite in maniera strisciante attraverso tutti i media, nonché veicolati dal comportamento di chi ci vive intorno e ne ha subito l’influenza.

Per quanto riguarda l’arte il mio consiglio è quello di frequentare soprattutto l’arte antica. Cioè quelle opere che sono state prodotte quando la piaga della critica dell’arte non esisteva ancora.

In Italia siamo fortunati perché ne siamo magnificamente invasi.

I maestri del passato, che hanno forgiato le fondamenta dell’estetica, gli spiriti virtuosi che hanno coniato i termini del linguaggio artistico della nostra civiltà, sono voci troppo potenti per essere azzittite, e rappresentano l’ostacolo più grande ad un sistematico abbrutimento culturale.

Saranno loro a ricordarvi quanto in alto si può elevare il genere umano, quel genere al quale anche voi appartenete. In questo modo prendete coscienza delle alte potenzialità che potrebbero annidarsi in ognuno.

Seguendo lentamente il filo sincero della tradizione, lasciandosi affascinare in maniera schietta, la personale sensibilità alla bellezza artistica si raffina.

La bellezza di quelle opere viene assorbita dal nostro io più profondo e stimola la parte più nobile del nostro spirito, elevando una solida barriera contro la fumosità di ogni relativismo estetico.

Se lo si fa in ogni settore della cultura, questo aiuta a risvegliare la propria personalità che ritorna padrona di se stessa. Dapprima nella capacità di discernere, in seguito in quella di generare la migliore realtà intorno a sé.

A quel punto, il flusso inconsistente dell’arte contemporanea o le tante vuote opere del panorama artistico del ‘900, non troveranno alcuno spazio in un’anima così consolidata.

Rappresenteranno solo una manifestazione di follia collettiva che non ci riguarda più. 

Ed avremo preservato una parte importante di noi stessi.


                                                                                   Alberto Melari

giovedì 17 ottobre 2019



Il racconto dell'uccisione di 3 uomini.


Sono andato a fare benzina al solito posto. Trovo il ragazzo che lavora lì che scherza e sorride con un signore anziano.

Non capisco di cosa stiano parlando. Quando sono arrivato il discorso era già iniziato.
Poi il signore dice “Io ho novant’anni!”. La frase mi colpisce perché non li dimostra affatto. Allora mi intrometto e dico “Davvero ha novant’anni?”. “Certo!” mi risponde “Ho fatto la guerra!”. Faccio un rapido calcolo e capisco che è plausibile.

“Mi hanno pure sparato!” mi dice. Gli chiedo dove. Mi risponde a Bolzano. Spiego che io intendevo in quale parte del corpo è stato colpito. Mi indica il lato sinistro della pancia appena sopra al linguine.

Mi dice che spesso la gente non ci crede, e allora mostra la ferita. Io gli dico che ci credo, però sono molto curioso di vederla lo stesso perché non ho mai visto una ferita da arma da fuoco.

Mi spiega che non si tratta di un vero e proprio sparo, ma di una scheggia. Cerca di farmi capire di che tipo di arma si trattava, mi parla di una sorta di catena. Non ho idea a cosa si riferisse ma in seguito sembrava abbastanza ovvio che si era trattato di una granata. Ha raccontato di averla tenuta ben 55 anni quella scheggia. Poi, ad un certo punto, ha iniziato a defecare ed orinare sangue. Solo allora ha scoperto di averla. Mi ha mostrato una ferita simile ad una rientranza puntiforme. Come un ombelico.

Mi racconta che erano in tre alla frontiera con l’Austria. Erano a presidiare il confine. Lui aveva 24 anni. Sono comparsi improvvisamente tre austriaci e li hanno attaccati. Uno dei suoi compagni è rimasto gambizzato. Lui è stato colpito sul ventre ma è riuscito ad estrarre una mitraglietta e li ha freddati tutti e tre.

Mi ha detto che solo uno era ancora vivo e agonizzante dopo le raffiche del mitra. Gli si è avvicinato e gli ha puntato l’arma in bocca, sul palato, e lo ha finito.

Gli domando se aveva ucciso prima di allora o se gli era capitato di farlo ancora. Mi ha detto di no. Quelli sono stati gli unici uomini che si è trovato a dover ammazzare.

Gli ho chiesto cosa si provasse ad aver ammazzato tre uomini. Mi ha risposto di non avere rimorsi. Lo capisco bene! Erano venuti per uccidere quelli lì.

Ha aggiunto che quando ha raccontato la storia ad un prete, questo si è scandalizzato. Gli ha detto che avrebbero dovuto risolvere la questione parlando. E questa è stata l’unica cosa comica di tutto il racconto.

L’ho salutato e me ne sono andato. Avevo appena ascoltato una storia straordinaria.


                                                                        Alberto Melari

giovedì 3 ottobre 2019




Quando ti sembra che il ragionamento è giusto


La logica del vecchio zio


Ragionare non è poi tanto difficile. Eppure innumerevoli volte accade che si crede di farlo bene e invece si sta facendo tutt’altro.

Intanto diciamo che “ragionare” significa semplicemente applicare la Ragione. Ovvero obbligare il pensiero a seguire una serie di regole che nel loro insiemi si chiamano “regole logiche”.

Non sono molte queste regole. Anzi. Direi che di fondo il meccanismo è solo uno. Quello del sillogismo.

Data un'affermazione A (vera) e un'affermazione B (vera) posso dedurre C, che è vera perché diretta conseguenza di affermazioni vere.

Per non complicare le cose utilizzeremo come esempio il più classico dei sillogismi.

A “Tutti i cani hanno la coda”,
B “Questo qui è un cane”.
Deduco C “Questo qui ha la coda”.

Tempo fa ho incontrato casualmente un parente che non frequentavo da anni. Un vecchio zio. Dopo un caloroso saluto ci siamo raccontati un po’ di cose. Lui mi chiede della mia vita.

Gli dico che sono padre di due bambini. “Ah! Ti sei sposato!” mi risponde. Gli spiego che no, non mi sono sposato. Allora mi chiede di sapere di più. Gli spiego che ho una relazione dalla quale sono nati i due bambini. Va tutto bene, viviamo tutti insieme, ma non siamo sposati.

“E perché non ti sei sposato allora?” domanda lui. “Perché non sarebbe cambiato niente con un matrimonio” rispondo. Ed è a questo punto che parte con una domanda che secondo lui trova un enorme senso nella logica più pura. “Se era la stessa cosa … allora perché non lo hai fatto?”

A questo punto capisco che addrizzare un ragionamento storto, a chi già lo vede diritto è un’impresa senza speranza. L’unica cosa da fare è percorrere una via alternativa.

Gli domando: “Tu lavi mai la tua auto?”.
“Certo! Ogni tanto lo faccio.”
“E quando la lavi, pulisci e lucidi con cura anche il battistrada delle ruote?”
“Certo che no!” Mi risponde.
“E perché non lo fai?”
“Perché non appena con l’auto partirei, dopo solo pochi metri, sarebbe sporco come prima!”
“Quindi lavarlo o non lavarlo sarebbe la stessa cosa.”
“Esatto” mi dice.
“Allora, se è la stessa cosa perché non lo lavi?”

Quale risposta vuoi ancora dare ad una domanda come questa? Se adoperarsi per fare una cosa o non farla non cambia assolutamente una realtà o una situazione, chiunque ti direbbe, seguendo la logica, che quella cosa non va fatta perché sarebbe un inutile spreco di energie.
Lo zio lo capisce benissimo.
Eppure, una logica così semplice ed efficace, quando l’ha applicata al matrimonio, il risultato era del tutto opposto.
“Poiché è inutile … allora andrebbe fatto.”
La sua reazione, quando gli ho fatto notare l’incongruenza è stata quanto di più prevedibile. Una serie di frasi sconclusionate, pronunciate prima ancora di essere del tutto mentalmente concluse, spesso in contraddizione fra loro, spesso non finite. Insomma un attorcigliamento di idee e di concetti strampalati pur di non dire: “Accidenti! Hai ragione!”

La forza occulta che ha piegato il suo ragionamento fino a far apparire logico quello che è quanto di più illogico, è stata, naturalmente, la necessità di dare un senso ad un’idea, nello specifico quella sul matrimonio, che non è una sua idea, ma una delle tante che spesso si acquisiscono dall’esterno al solo scopo di non sentirsi diversi. Un’idea fatta propria al solo proposito di adeguarsi agl’altri. E poiché il processo non è proprio dignitoso, si fa passare quell’idea per qualcosa di assolutamente logico, ma secondo una logica aggiustata all’occorrenza.

Ora, se ciascuno di noi avesse la pazienza, durante il vivere quotidiano, di scremare tutte le proprie idee, domandandosi continuamente “perché” ad ogni azione o ad ogni pensiero, con buona probabilità scoprirebbe un’enorme quantità di modelli che non gli appartengono e che ha fatto propri e persegue da sempre in maniera del tutto meccanica.

Ma questo si può fare al solo patto di non barare utilizzando una logica di comodo che chiude ogni tanto un occhio e lascia passare pur di non metterci in crisi sui quelli che soni i valori di sempre.
Sarebbe un lavoro straordinario volto alla scoperta di se stessi che darebbe risultati meravigliosi.

Per quanto riguarda lo zio, invece, a lui rimangono due scelte se vuole vivere nella coerenza. O cambia idea sul matrimonio o da domani si mette a lucidare il battistrada delle gomme ogni volta che lava la macchina.

                                                                                                Alberto Melari


lunedì 16 settembre 2019




Imparate a fare sempre di tutta un’erba un fascio.


Mi ricordo un fatto di attualità di pochi anni fa. Scandali riguardanti il mondo del calcio. Era emerso il solito giro di partite truccate, arbitri venduti, corruzione a tutti i livelli.

Seppure l’argomento non mi abbia mai interessato, mi colpì il fatto che, una volta scoperchiata la pentola, si riuscirono a spiegare vicende precedenti a cui in un primo momento erano state date interpretazioni sbagliate.

Ad esempio, negl’anni precedenti alcuni personaggi di lunga carriera si erano stranamente ritirati a vita privata pur essendo ancora perfettamente in grado di ricoprire i propri ruoli.

Si capì solo dopo che quei pensionamenti anticipati, che al tempo sembravano dettati da scelte di vita privata, erano in realtà dovuti al rifiuto di doversi sporcare le mani nel continuare ad operare in un ambiente marcio.

Il pensiero è andato a tutte quelle volte che, in situazioni simili, quando emergevano casi di corruzione in politica, nella finanza, nelle istituzioni, l’informazione predicava di evitare di fare “di tutta un’erba un fascio”. Se in un partito o in un’istituzione o in uno specifico ambiente emergevano dei corrotti, non bisognava dedurre che anche gl’altri componenti del gruppo fossero altrettanto disonesti.

Si può a buona ragione ritenere che esistano vari livelli di interpretazione di una realtà.

-          - La sensazione. È Il più basso di tutti. Quello narcisistico. Consiste nell’interpretare la realtà in base a come noi la percepiamo. Se una specifica situazione o persona a pelle non ci piace, si ha la tendenza a rendere quella sensazione reale. Ad esempio, se la prima impressione che abbiamo di qualcuno è quella di poca onestà, bolliamo la persona come disonesta. Allo stesso modo una sensazione positiva ci fa giudicare buono qualcuno che in realtà non conosciamo e non sappiamo com’è. Se si segue questa regola la vita può dare spesso delle delusioni.

-          - Il principio. Far valere il principio significa non giudicare niente o nessuno fintanto che questi non si manifesti con specifiche azioni o dichiarazioni. Insomma, è quello che viene detto “garantismo” per cui tutti sono buoni e onesti fintanto che qualcosa non ci dica il contrario. È quanto viene predicato, ad esempio, a livello istituzionale o nel campo dell’informazione. Chi lo adotta per la propria vita è di sicuro meno esposto rispetto a chi si muove per sensazioni. Ma è comunque a rischio.

-         -  Il buon senso. Il buon senso è uno dei concetti più difficili da definire. Ma anche il livello più alto di interpretazione della realtà. Parte dalla sensazione. Non la esclude. Tuttavia non la segue nella sua tendenza a trasformarsi in giudizio. La fa passare attraverso la logica e, più spesso, attraverso l’esperienza.

Nel caso degli ambienti corrotti, applicare il buon senso significa procedere col ragionamento che segue.

Se fatti e situazioni dovessero far emergere che uno specifico ambiante è fortemente corrotto, pensare che una parte, magari minoritaria, sia rimasta integra e onesta è quantomeno molto improbabile. E le vicende degli scandali del calcio ne sono una buona dimostrazione.

Le persone veramente oneste, in quel caso infatti, non hanno tollerato il progressivo inquinarsi dell’ambiente e si sono defilate.

Se essere onesti significa avere dei principi di onestà, permanere in un ambiente in cui quei principi vengono sistematicamente calpestati sarà motivo di forte frustrazione che tenderà a trasformarsi in una sensazione umanamente insopportabile.

È lecito credere che chi è riuscito a permanere in un ambiente fortemente corrotto, come quello di un partito politico colto da innumerevoli scandali, senza essere mai coinvolto, non sia altrettanto eticamente retto rispetto a chi da quel sistema era esterno.

La sua permanenza nell’ambiente può essere interpretata in vari modi. Nessuno dignitoso purtroppo.

Se ha assistito al degradarsi dell’ambiente circostante senza subire disagio, ciò significa che di certo l’onestà non rientra fra i suoi principi fondamentali.

Se non si è accorto del crescente dilagare della corruzione, ciò lo rende ingenuo e sprovveduto.

Se era semplicemente in attesa di sfruttare l’ambiente degradato per buttarcisi dentro per fini personali ma non ci è riuscito, ciò lo rende, oltre che non meno sporco degl’altri, un incapace.

Se invece non c’era niente di tutto questo, significa banalmente che non lo hanno ancora preso.

                                                            Alberto Melari

domenica 1 settembre 2019



Se la droga è il potere.


Ludopatia. Tutti oggi conoscono il significato di questa parola.

Un tempo era riservata ai soli tecnici. Psicologi e studiosi del comportamento umano. Oggi, a causa della grande diffusione del disturbo, il termine è diventato di uso comune.

Sembra non esserci niente di buono in questo. Ed in effetti è così. Tuttavia, a voler cercare il positivo ovunque, bisogna ammettere che questo fatto ha aperto la coscienza collettiva proprio in tema di dipendenze.

Un tempo, a livello popolare, il concetto di dipendenza era riservato alle sole sostanze d’abuso. Cocaina, eroina ed altre. Al più si osava estenderlo al tabacco, all’alcool o alla caffeina.

Oggi invece, proprio in seguito alla grande diffusione del gioco d’azzardo, tutti sono consapevoli che una dipendenza possa avere una natura diversa da quella chimica e possa trovare la sua origine in gesti e comportamenti della più svariata natura che con l’assunzione di una sostanza non hanno nulla a che fare.

In altre parole, si è maturata la coscienza che si può anche dipendere da cose che non sono droghe.

‘Dipendere’ significa che i requisiti di felicità o infelicità vengono attribuiti ad una condizione esterna. L’assenza di questa condizione è motivo di forte malessere interiore così come la presenza è scaturigine di appagamento.

Quando questo meccanismo è attivo, l’essere umano somiglia ad una macchina che si adopera alla ripetizione coatta di un gesto. Spesso il confine fra una naturale tendenza e una dipendenza è molto sfumato. E questo rende tutto enormemente più complicato.

Dipendenze insidiose potrebbero essere, ad esempio, il giudizio degl’altri, l’appartenenza ad un gruppo, la vicinanza di una particolare persona e molto altro. Il fenomeno coinvolge moltissimi individui purtroppo.

Essere emancipati da questo tipo di meccanismi invece significa aver raggiunto la più autentica condizione di libertà.

La vera natura di queste dipendenze è materia di studio da anni di discipline alle quali si sono applicate innumerevoli menti elette. Pertanto lasceremo a quelle le considerazioni tecniche più raffinate.

Quello che ci preme fare in questa trattazione è solamente una distinzione, che ha però un’importanza molto rilevante.

Ci sono dipendenze che, nel momento in cui agiscono, causano un danno solo a chi ne è schiavo. Le dipendenze da sostanze sono l’esempio più concreto. Se una persona si droga, nuoce a sé stessa. Non nuoce a qualcun altro.

In realtà, per completezza, dovremmo aggiungere che questa persona, persistendo nella condizione di tossicodipendenza, potrà essere causa di forte dispiacere a tutti coloro che hanno con lei un legame affettivo. Anche la società subisce un danno a causa dal potenziale inespresso dall’individuo che si droga. Inoltre, consumando droga, questa persona favorisce l’attività criminale. Tutto molto grave … ma niente di più!

C’è una forma di dipendenza invece che, nel suo attuarsi, moltiplica i danni a livelli inimmaginabili ben al di fuori della sola persona che ne è affetta.

È la dipendenza dal potere.

Ci sono persone che soffrono di una disfunzione che consiste nel sentirsi paghe della vita solo quando ricoprono posizioni di grande potere da esercitare nei confronti di intere società. In genere, queste persone, cercano il loro appagamento nel campo della politica, ovvero nel luogo dove per lo più il potere si esercita.

Le persone in cui questa dipendenza è attiva sono dunque quasi sempre dei politici. È in questa classe che vanno ricercati i soggetti più gravi affetti da questa patologia.

La loro caratteristica più deleteria è nel fatto che non si adoperano per rendere migliore la realtà che si trovano ad amministrare, ma sono mossi dal solo scopo di esercitare potere sugl’altri. Senza di quello soffrirebbero di vere e proprie crisi di astinenza. Pertanto le posizioni di potere vengono mantenute ad ogni costo. Corruzione, inclinazione a instaurare meccanismi di controllo, scambi di favori, compromessi scelerati, tendenza a chiudersi in un élite dominante.

Diversamente dal tossicodipendente, a rimetterci questa volta è l’intera comunità che subisce l’esercizio di quel potere per nulla finalizzato al benessere comune ma indirizzato unicamente alla nutrizione di un ego perverso e scellerato. È un potere che si può definire malato.

Purtroppo c’è una questione molto più grave da considerare. Quanto è malata quella comunità che sceglie di farsi rappresentare da persone con una natura così distorta?

                                                                                                        Alberto Melari


lunedì 22 luglio 2019



Come si solleva una montagna.
 

In un articolo precedente ho già trattato dell’energia di cui è dotato un essere umano. Ho spiegato che questa energia è immensa. Già! Ma immensa quanto?

Un’idea di questa immensità viene espressa nel Vangelo di Matteo.

Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: «Spòstati da qui a là», ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile.
      Matteo 17, 20
Secondo questa affermazione sembrerebbe che, per dotarsi di questa energia, essenziale sarebbe avere fede. L’interpretazione che si è sempre data della frase “Se avete fede …” è quella della fede nel Dio cristiano. Questa non è certo né la prima, né l’unica spiegazione superficiale che sì dà di pensieri espressi nei Vangeli che portano verità di valore immenso ridotte, in questo modo, a banalità di basso buonismo.

Essendo concreti bisognerà ricordare un paio di concetti che non lasciano scampo a nessuna interpretazione di tradizione clericale.

1 – Uomini che hanno agito come se nulla gli fosse impossibile ce ne sono stati molti nella storia e professavano le fedi più disparate. Persino uomini di nessuna fede.
2 – Nessuno ha mai visto un uomo che con la sola forza della fede cristiana abbai comandato ad una montagna di sollevarsi e spostarsi.

Quell’affermazione del Vangelo riporta una verità di grande valore solo se viene decifrata nel modo appropriato.

La fede di cui si parla non è la fede in Dio il quale, in ragione di quella fede, dovrebbe infondere una forza immensa ad un suo adepto. La fede è intesa come l’avere fiducia che Dio (…o la natura, se la parola vi disturba) abbia già agito su ogni essere umano dotandolo, fin dalla sua comparsa sulla terra, di immense quantità di energia in misura tale da compiere opere di straordinaria grandezza.

Per quanto riguarda invece la possibilità di dire ad una montagna di spostarsi “da qui a là”, occorre semplicemente aggiungere che questo è potenzialmente ed effettivamente nelle possibilità di chiunque, ma ad una serie di condizioni. Una di queste, ad esempio, è che ci sia un valido motivo affinché quella montagna si debba spostare, e che non sia un grossolano gesto di inutile sfoggio di potenza.

A questo punto non mi resta che trovare esempi che dimostrino quanto detto. Dovrò limitarmi, visto che ne esistono a centinaia, altrimenti questo resoconto si prolungherebbe per giorni interi.

Il primo esempio che mi viene in mente è quello dell’ingegnere Luigi Negrelli, colui che concepì, progettò e propose alle autorità del tempo, la costruzione del Canale di Suez, ovvero quel canale che collega il Mediterraneo al Mar Rosso e quest’ultimo all’Oceano Indiano.

Questo esempio è migliore di altri solo per un motivo. Perché è il più vicino a quello espresso nel Vangelo, in cui si dice che un uomo ha facoltà di sollevare una montagna. Negrelli non avrebbe sollevato una montagna, ma unito ben tre mari, e, allo stesso modo di chi solleva una montagna, ha modificato pesantemente la geografia di intere nazioni.

Nel caso suddetto, rispetto a quello che viene espresso nella frase del Vangelo, ci si stupisce per alcuni dettagli. Il fatto che qualcosa di grandioso sia avvenuto non miracolosamente, ma nella maniera più concreta possibile. Non con un comando dato a voce ma con l’aiuto di grandi istituzioni e l’avallo di interi popoli. Non in un istante, ma con i tempi necessari al compiersi di una grande opera.

Tuttavia, tutto è partito da una semplice intuizione di un uomo e dalla sua determinazione e veder realizzata l’idea contenuta in quell’intuizione.

A questo punto, una volta capita la vera natura di questa energia ed il modo come questa si esprime, si può facilmente immaginare che chiunque abbia compiuto grandi opere e cambiato qualcosa di importante nel mondo può essere un buon esempio di uomo che ha avuto fede che “nulla sarà impossibile”.

Chiunque sia stato capace di realizzare progetti che di partenza richiedevano un dispiegamento di forze abnorme, ha agito secondo questo meccanismo. Dapprima ha avuto un’intuizione. In seguito ha creduto (… ed è questa è la fede di cui parla il Vangelo) nella sua realizzazione senza subire alcun turbamento per l’immane sforzo che questa comportava.

Resta da domandarci quel è il motivo per cui solo pochi siano riusciti in questo, se è vero che ad ogni uomo è potenzialmente dato di riuscirci. E perché molti non riescono neanche a realizzare progetti di basse pretese.

Il motivo sono le mille falle attraverso cui, tutta l’energia di cui siamo dotati, viene, dalla maggior parte delle persone, quotidianamente dispersa, il più delle volte per alimentare blocchi personali o convinzioni improduttive ed inutili. Queste falle sono rappresentate per lo più da tutta una serie di opinioni negative, che durante la vita si maturano, sul mondo e su noi stessi. Tali convinzioni sono origine di malesseri che tendono a stabilirsi in noi ed a nutrirsi, spesso voracemente, di quell’energia di cui dovremmo beneficiare per la realizzazione di grandi progetti.

Dedicarsi a sottrarre nutrimento a questi demoni e a veicolare le proprie energie verso le nostre concrete aspirazioni è già un proposito di alto livello e un passo concreto verso la più autentica libertà.
                                                                                                              Alberto Melari

lunedì 15 luglio 2019


La storia degli scambisti.

Cos’è l’anima.


Oggi vi dirò cos’è l’anima.

Ma prima parliamo di R., un ragazzo di circa trent’anni, atletico, bello. R. ha vissuto numerose storie d’amore molto intense ed ha sempre avuto una vita affettiva molto vivace. Tuttavia R. ha sempre vissuto un certo disagio a causa del lavoro. Le cose non sono mai andate troppo bene. Non riesce ad essere costante negli impegni professionali e perde spesso il lavoro. Non ha mai acquisito una vera professionalità.

T. ed R. si sono conosciti da poco. T. è un signore molto in sovrappeso. È da sempre così. Ha qualche anno in più di R. ma ha avuto pochissime esperienze affettive, poco interessanti ma soprattutto finite male. È un ottimo professionista. Nell’ambiente di lavoro è stimato e considerato uno di quelli capaci di fare la differenza.

I due si sono conosciuti. Ma non si stimano affatto. Ognuno prova una profonda invidia per l’altro. R. vorrebbe avere le soddisfazioni economiche e professionali di T.
T. immagina sempre con invidia le serate di passione di R. insieme a donne bellissime. Ma di fondo si guardano con un sentimento quasi di pietà l’uno per l’altro.

Com’è che si sono incontrati? È stato Gonzalo a farli conoscere. Un personaggio singolare di origine guatemalteca, proveniente da una famiglia di tradizione sciamanica. Se non li avesse convocati lui i due non si sarebbero mai incontrati. Ed anche adesso che sono insieme sembrano respingersi.
Gonzalo, che li conosce entrambi approfonditamente, fa loro una proposta stravagante, assurda e fuori da ogni logica. Propone uno scambio di anime.

I due dapprima rimangono sbalorditi. Poi divertiti perché non riescono a prendere sul serio la cosa. Ma Gonzalo ribadisce di essere serissimo. Ed entrambi lo conoscono come persona affidabile. Le loro menti non sanno concepire la cosa, ma l’idea di T., di acquisire le doti di seduttore di R. è molto allettante. Allo stesso modo R. rimane affascinato dall’idea di raggiungere di colpo la posizione professionale e finanziaria di T. Pertanto accettano.

Gonzalo compie il suo rito. Allestisce l’ambiente. Li fa stendere. Somministra estratti naturali. Invoca spiriti di vario tipo. I due entrano in stati di coscienza alterati e in tempi indefinibili si compie qualcosa che collassa in uno stato di profondo torpore. Il risveglio sarà dei più duri. Con forti mal di testa, spossatezza e stordimento.

Quando i due si risvegliano sanno di essere ognuno nel corpo e nella mente dell’altro. La sensazione è stranissima. Passano momenti di forte stupore nel quale vorrebbero permanere. Ma Gonzalo li incita ad andare e ad occuparsi finalmente delle loro vite. Ognuno dovrà entrare nel mondo dell’altro. Con tutti gli strumenti che l’altro ha raffinato col tempo. I due vanno. Assaporano già le gioie che la nuova situazione promette di dare.

T. rientra nell’ambiente di lavoro. Viene da tutti salutato con rispetto ed accolto come un leader. Chiama a riunione i suoi collaboratori e inizia a distribuire compiti e responsabilità. Sente che la sua mente è dotata di tutte le nozioni necessarie per lo svolgimento di quei compiti. Il conto in banca è rassicurante. Finalmente!

R. si tocca i bicipiti, sente il corpo turgido ed elastico. Si sente leggero. Elegante nei movimenti. Accarezza i capelli folti e ammira allo specchio una fisionomia perfetta. Ha voglia di uscire. Quella sensazione di leggerezza è meravigliosa. Esce e si mette a correre nel parco. Dopo poco incrocia una bellissima donna bionda, anche lei intenta a fare jogging. Lo riconosce e lo affianca. Corrono insieme e parlano. Si danno un appuntamento per la sera. R. non vede l’ora di uscire con lei.

Passa qualche giorno. R. ha avuto più di un’esperienza amorosa. È al settimo cielo. Però una mattina bussa alla porta un creditore che avanza la richiesta di soldi dovuti già da tempo. In casa non c’è denaro e il conto in banca è quasi al rosso. Non è abituato a quella situazione. Non la sopporta. Decide di darsi da fare. Esce e va a cercare un lavoro.

T., dopo varie giornate in azienda, cene di lavoro in cui ha sperimentato un grande riconoscimento professionale, avrebbe voglia di prendersi un po’ di tempo libero. Nello staff di lavoro c’è una giovane donna molto interessante. Vorrebbe invitarla a cena. Coglie l’occasione di un momento in cui è da sola ed inizia ad approcciarsi a lei. Appena pronuncia le prime parole la donna è rapidissima a interromperlo e spostare il discorso su altro. Ed il deciso gesto di mettersi di spalle non lascia dubbi. Non ne vuole sapere.

T. deluso si allontana. Ci è rimasto male. Ha voglia di farsi una bella camminata. Esce e se ne va un po’ in strada. Ma dopo poco sente il fiato grosso e i movimenti lenti e pesanti dell’immensa massa corporea sono fastidiosissimi. Da subito decide di mettersi a dieta e di fare regolarmente movimento.

Passa dell’altro tempo. R. non solo ha trovato lavoro ed ha saldato i debiti, ma ha anche avuto delle promozioni. È stato apprezzato per il proprio impegno ed ha avuto la promessa di posizioni migliori nel prossimo futuro. Però la sua massa muscolare ha incominciato ad inflaccidirsi. Ha preso peso perché spesso sente il bisogno di abbuffarsi. Anche le sue amanti glielo hanno fatto notare. Una ha avuto il coraggio di dirgli che, durante una serata insieme, non è stata molto bene. E il motivo è stato che lui era piuttosto noioso e poco interessate.

T. invece ha perso molto peso. Ha raggiunto una buona forma fisica. La sua collega lo ha notato e un giorno gli ha fatto i complimenti per il suo aspetto davvero migliorato. Però nel lavoro c’è stato qualche problema. Ultimamente ha combinato qualche guaio ed è stato ripreso dalla direzione aziendale. Sono stati molto chiari. Se dovesse accadere di nuovo la sua presenza in azienda sarà a forte rischio.

Capito cos’è l’anima?
                                                        Alberto Melari

lunedì 8 luglio 2019




Il regno delle immense energie

Tutti sanno che Sigmund Freud teorizzò l’esistenza dell’inconscio. Nel mondo della divulgazione esiste un modello molto utilizzato che è quello dell’iceberg. L’iceberg, la montagna di ghiaccio galleggiante, appare come un’immensa cima che emerge dal mare. Dell’iceberg si sa che la porzione che emerge è solo una piccolissima parte. La grande parte della massa ghiacciata si trova al di sotto del mare e non si vede.

Nel modello, la parte che emerge, rappresenta l’Io cosciente, ovvero tutto ciò che ciascuno sa di se stesso. Le proprie idee, le proprie convinzioni, le proprie aspirazioni. La parte sommersa e nascosta rappresenta l’inconscio. L’inconscio è la parte di noi che fa scelte, dà direttive, crea la realtà intorno a noi. Di questa parte noi non sappiamo nulla.

In effetti questo parallelo è perfetto poiché, ci spiegano gli analisti, se potessimo dimensionarlo, l’inconscio è molto ma molto più grande dell’Io cosciente.

L’iceberg è fatto di ghiaccio. Lo sappiamo. Invece l’Io di cosa è fatto?

Già… perché il giaccio è una massa solida. Ha un peso e un volume. E affermare che quello sommerso è molto di più di quello emerso ha un senso concreto. Invece cosa significa dire che la nostra parte inconscia è molto più grande di quella cosciente?

Quando si parla di queste categorie psichiche si parla in termini di “energia psichica”. Gli elementi che contengono questa energia sono le pulsioni. Affermare che l’inconscio è grande significa che la stragrande maggioranza dell’energia è contenuta lì. E di quell’energia si sa che è presente in quantità enorme.

Supponiamo di chiedere a qualcuno quale sia la propria aspirazione. Supponiamo che questi ci dica che la sua volontà sia quella di diventare ricco. Questa affermazione naturalmente deriva dalla sua parte cosciente (la parte emersa dell’iceberg). Supponiamo ora di andare ad analizzare la sua vita. Immaginiamo tre scenari fra i tanti possibili.

Primo scenario - La sua situazione economica è in crescita. Ma quella crescita è ben lontana dagli obbiettivi a cui egli dice di aspirare. Tuttavia è diventato un ottimo insegnante e si sta realizzando nella formazione degl’altri.

Secondo scenario - Si sta effettivamente arricchendo.

Terzo scenario - Si impoverisce sempre di più.

Solo il secondo scenario è effettivamente coerente con quello che coscientemente egli afferma di volere. Perché invece in molti casi non avviene quello per cui si sta agendo?

Nel primo caso dobbiamo presuppore che, a livello cosciente, questa persona aspira a grandi ricchezze. Ma a livello inconscio questa aspirazione non è poi così forte. Per questo il suo arricchirsi non corrisponde a quello che effettivamente egli dice di volere. Ci sono altre pulsioni che frenano la corsa verso la realizzazione. Ci sono pulsioni, nel mondo sommerso del suo inconscio, che lo portano a realizzarsi, ma non in ciò che egli coscientemente vuole, ma in tutt’altro campo.

Nel terzo caso il suo inconscio viaggia esattamente in maniera opposta a quelle che sono le sue aspirazioni. Questo scenario è inevitabilmente causa di sofferenza. La sofferenza non deriva dalla povertà in se stessa. Bensì dal contrasto fra ciò a cui egli aspira e la realizzazione nella realtà del suo contrario. Se aspirasse ad una vita ascetica o mistica che contempla la povertà, ad esempio, la condizione di miseria non sarebbe affatto una sofferenza.

Ad ogni modo la conclusione che trarremo è che la realtà che si realizza è sempre quella delle pulsioni inconsce. Perché, come abbiamo detto parlando del modello dell’iceberg, è lì che si annidano le grandi energie. Quando queste sono in accordo con le nostre aspirazioni la vita scorre piacevolmente.

Quando invece l’inconscio si muove in altre direzioni o addirittura in maniera opposta a ciò che vorremmo sul piano cosciente, si scatenano malesseri e insoddisfazioni. Talvolta si entra in casi di sofferenza grave e occorre rivolgersi a qualcuno.

Il compito del terapeuta è proprio quello di individuare nell’inconscio la pulsione che si muove in senso contrario e renderla nota al paziente. Una pulsione, quando viene portata alla luce, da inconscia diviene cosciente. In altre parole passa dalla parte sommersa dell’iceberg a quella emersa. Passa cioè dal luogo dove ci sono enormi energie a quello dove le energie sono più deboli. In questo modo la pulsione perde la sua forza e l’equilibrio psichico si ristabilisce.

Naturalmente tutto questo discorso altro non è che una sintesi di qualcosa di molto noto ormai anche a livello di cultura popolare. Al più può essere una buona puntualizzazione.

La domanda che voglio lasciare aperta invece è la seguente. Cosa potrebbe avvenire se si potesse operare il processo in modo contrario a quello della terapia? Ovvero, quale immensa potenza potrebbe raggiungere un essere umano se potesse “spingere” una sua aspirazione cosciente nelle profondità dell’inconscio, dove questa si caricherebbe di energie enormi? È possibile far accadere questo?

Buona riflessione.

                                               Alberto Melari