La domanda che mette in crisi il predicatore
Come comportarsi con chi vuole convincerci di aderire alla sua religione.
Passeggiavo per la città quando
un gruppo di ragazze e ragazzi, piuttosto giovani, mi ha fermato per la
strada. Portavano con loro un cartello con uno slogan religioso. Avevano
l’accento inglese. Mi hanno detto di appartenere ad una comunità mormona. Mi hanno
chiesto se conoscevo i Mormoni e si sono sorpresi perché qualche nozione sono riuscito
a darla.
Stavano facendo propaganda
religiosa. Non sono certo i primi! Mi hanno parlato appassionatamente della
loro fede e della loro idea di Dio. Io li ho ascoltati con interesse.
In molti si infastidiscono
dall’invadenza di gruppi religiosi che ti precipitano in casa o ti fermano per
la strada rubandoti del tempo, magari in momenti poco opportuni in cui si è già
carichi di pensieri. Oppure ti disturbano quando dai pensieri sei riuscito a
liberarti e ti stai godendo un po’ di serenità, sempre più rara in certi
periodi.
In molti vorrebbero spiegare loro
che non sentono alcuna necessità di abbracciare una nuova fede o di essere
salvati da non si sa cosa. In molti vorrebbero liquidarli senza rovinarsi la
giornata resistendo all’istinto di rispondere con cattiveria, cosa che poi ti
fa stare più male di prima, ma neppure essere troppo morbidi rischiando di non
riuscire a svincolarsi in breve tempo dal fastidio della loro ingerenza.
Io personalmente ho un approccio
diverso. Più accogliente. Forse dovuto alla lunga passione per tutti gli
aspetti della natura umana, forse all’irresistibile voglia di provocazione che
ho sempre avuto, ma anche solo alla curiosità e al desiderio di conoscenza.
Ascolto con attenzione. Cerco di
trovare aspetti interessanti ma quasi sempre quello che mi arriva è una
piattezza di frasi fatte in cui si capisce che l’unica vera forza in gioco che
muove i loro intenti è l’appartenenza ad un gruppo. La fede, quella vera … con
tutto il rispetto … mi sembra sempre molto lontana.
Quando tocca a me a parlare li
porto sempre sul un argomento: “Molto interessante quello che mi racconti sulla
tua religione. Tuttavia ho una domanda da farti.
Ma tu… perché vuoi
convincere me?”
A questo punto il volto dell’adepto
si incupisce e l’espressione precipita nel vuoto di un pensiero che lo
destabilizza. Non escono parole.
La mente va a cercare fra le
tante frasi fatte utilizzate in anni di propaganda ma non ce n’è una adatta a
dare una risposta. Balbettano qualcosa senza dire nulla. Tentano di cambiare
discorso. Spesso chiudono in fretta e salutano.
A quella domanda non c’è
risposta. O meglio, la risposta ci sarebbe. Ma suscita in loro orrore per se stessi.
Quella domanda va a toccare un
nervo scoperto. Entra nella ferita ed espone la parte di sé tenuta nascosta
perché dolorosa e insopportabile.
Già! Che bisogno c’è di
convincere gli altri che la propria fede è una cosa meravigliosa?
Un pensiero superficiale
porterebbe a dedurre che, chi è disposto ad esporsi così tanto da andare a
predicare per la strada, sia dotato di una grande convinzione per la propria confessione.
Secondo questo stesso pensiero, la più grande forza nei confronti del proprio credo ce l’ha chi è disposto ad immolarsi con una cintura esplosiva in mezzo agli infedeli per fare una strage.
Secondo questo stesso pensiero, la più grande forza nei confronti del proprio credo ce l’ha chi è disposto ad immolarsi con una cintura esplosiva in mezzo agli infedeli per fare una strage.
Se questo vi sembra logico è solo
perché state applicando la logica in un campo dove la logica non ha
applicazione.
La fede di un kamikaze, in realtà, è talmente debole che l’esistenza
degli “infedeli” è una cosa così fastidiosa al punto da volerli eliminare.
Per capirci meglio, coloro che non professano la sua fede, con il loro semplice
esistere, vanno a toccare la parte di lui che sa di non credere in Dio, e lo fanno in maniera così forte da essere insopportabile. Da qui l’esigenza di
distruggerli.
Allo stesso modo, cercare di
convincere altri ad aderire al proprio credo, predicando porta a porta, è
sintomo del bisogno di essere in quanto più numerosi possibile per rafforzare
una fede di fatto vacillante e assai poco convinta.
Cercando di convincere qualcuno si vuole mettere alla prova la propria idea di Dio per vedere quanto affascini gli altri e quanto non ci faccia sentire dei poveri creduloni, che è proprio il dubbio che si è maturato su se stessi.
La fede vera non ha mai bisogno
dell’approvazione esterna. L’uomo di fede vera non ha la necessità di
convincere nessuno. Non ha un nemico da combatte. Né dentro, né fuori.
Tutte le volte che ci si ritrova
a difendere appassionatamente un’ideale o a fare la guerra a chi non la pensa
come noi, bisogna farsi venire il dubbio se di quella cosa siamo convinti
veramente. Se quell’idea, che può essere di natura politica, religiosa, o la
negazione stessa dell’esistenza di un Dio, non sia di fatto una cosa che ci
appartiene, ma solo un punto fermo di cui abbiamo bisogno per fissare gli
elementi di un’identità che fa fatica a delinearsi.