lunedì 17 maggio 2021

Quale è la missione della tua vita e come assolverla. (video)

 




“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere,
ma anche nel sapere per che cosa si vive!”


                            Fëdor Dostoevskij

 

Qual è la missione della tua vita?

Ma prima di tutto, esiste una missione della propria vita?
… e … cosa si intende per “missione della propria vita”?

Questo concetto, ammesso che esista, non può certo essere indagato in maniera razionale, scientifica.
Neppure la psicologia classica è uno strumento giusto per trattare di questo.

Diciamo che, la missione della propria vita, se esiste, appartiene a quel genere di verità, negate dalla maggior parte delle persone, che si possono solo intravedere e si fanno cogliere solamente da chi è più attento e disponibile ad un pensiero aperto.

Una serie di osservazioni delle proprie o altrui esperienze possono portare a pensare che una missione nella vita potrebbe esserci.
Cioè un qualcosa di ben preciso che la vita ci chiede di fare.
Uno scopo finale per cui siamo venuti al mondo.

Se ciascuno di noi dovesse avere una missione nella propria vita, allora diventa fondamentale scoprire quale è.
Perché è probabile che la vita possa procedere bene, possa avere un senso, solo quando effettivamente si sta portando avanti quella missione.

La maggioranza delle persone però pensa che la propria missione di vita non si sia mai manifestata perché nelle loro vite hanno avuto un ruolo determinante certi elementi di disturbo.

Ad esempio: disagi dovuti alla mancanza di denaro. Oppure si viene assorbiti da problemi di relazioni sentimentali, quando non si è mai trovato un equilibrio nei rapporti affettivi. Incapacità a mantenere le amicizie quando non si sanno gestire i rapporti interpersonali.
Paure di ogni tipo.

Molti non hanno potuto scoprire quale fosse la propria missione perché eclissata da qualcuno di questi problemi che hanno preso il sopravvento su tutto il resto.

Questi problemi non permetterebbero di concentrarsi su ciò che la vita vuole da noi. 

Attenzione! Quell’entità, che si frappone fra te e la tua missione di vita, non è un disturbo secondario.
Quella è la tua missione di vita.

Ed è per questo che te la trovi davanti ogni volta.
E ogni volta ti distrae da qualcosa che stai provando a fare.

Lo so… non è una bella notizia di cui venire a conoscenza.

Avresti preferito che la missione della tua vita fosse contribuire al progresso della civiltà, scoprire qualcosa di importante, salvare vite, lasciare un patrimonio artistico di eccellenza, consegnare alla storia qualcosa di rilevante … fosse stata una di queste avresti volentieri speso il tuo tempo, le tue energie e anche i tuoi soldi per portarla avanti.

Invece devi solo risolvere un problema che molte delle persone che conosci non hanno neppure mai avuto
e quindi faticano anche solo a concepire che tu ce l’abbia.

Eppure è così.

Ora, se non hai ancora chiuso con sdegno questo video, possiamo fare altre considerazioni a riguardo.

Cosa accade, per esempio, se quel problema nella vita viene risolto?
Cosa accade se viene assolta una volta per sempre la missione?
La vita smette di avere senso senza una missione?

Niente di tutto questo.

Intanto va detto che prima che quel problema venga risolto, cioè che si assolva alla missione, c’è un tempo in cui il problema non viene nemmeno riconosciuto. Viene negato.

Non è proprio che venga negato quando si presenta, ma viene trattato come un incidete casuale qualunque
non viene cioè riconosciuto come il problema della propria vita.

E quindi non lo si affronta direttamente, si aspetta che il disagio che ha generato passi, un po’ come passa prima o poi un dolore muscolare.

Solo dopo molte volte in cui quel problema si è ripresentato, ed in genere ogni volta in maniera più dolorosa e sfacciata, si arriva a riconoscerlo come proprio.

E perché questo avvenga in genere passano anni. Talvolta decenni.

Anche dopo che sarà diventato chiaro che quel problema si presenta a noi ripetutamente, sempre uguale, sempre nostro, passerà ancora altro tempo in cui verrà lasciato agire, in quanto attribuito a circostanze esterne che si vengono a creare ogni volta come una maledizione contro di noi.

Ma più spesso la colpa viene data ad altri, famigliari o conoscenti, considerati responsabili di azioni che generano quel problema nella nostra vita.

Già … ma come si risolve quel problema?
Come si assolve alla missione della propria vita?

Ogni problema sembra essere una cosa a sé.

È molto diverso infatti avere problemi di denaro dall’avere problemi di relazione dall’avere problemi di altro tipo ancora.

Eppure la soluzione ha sempre un unico schema.

Occorre ammettere con se stessi che quel problema è dentro di noi.
Che, anche se tutto ci appare ogni volta frutto di congiunture esterne sulle quali non avremmo potuto fare nulla, siamo noi, in maniera molto indiretta, sottile e perversa ad aver creato le circostanze che ci hanno fatto ricadere in quelle situazioni.

In altre parole, occorre assumersi la completa responsabilità di quanto ci accade, senza dare colpe a nessuno.

E questo deve essere accolto come verità assoluta,
non riconoscerlo senza esserne effettivamente convinti.

Raggiungere questo livello di consapevolezza corrisponde a compiere un passo evolutivo enorme per la propria vita.

Una volta raggiunta questa consapevolezza, verrà naturale avere il desiderio di voler sorprendere noi stessi in futuro mentre mettiamo in atto quei meccanismi che tante volte ci hanno incastrato in situazioni spiacevoli.

Per capirli finalmente, riconoscerli mentre agiscono e combatterli.

Ma questo probabilmente non accadrà.
Perché il semplice raggiungimento della consapevolezza di avere noi la responsabilità delle nostre stesse avversità, è già di norma sufficiente a portarcene fuori.

Anche se ci vorrà molto tempo affinché la vita ci darà dei segni concreti che questo è avvenuto.

Ad ogni modo la missione è stata assolta.

A questo punto? Cosa dobbiamo fare della vita?

Sicuramente ci godiamo quello stato di evoluzione raggiunto.
Abbiamo una nuova visione del mondo.
Tanta energia rimasta intrappolata per anni in problemi ricorrenti si è liberata ed è a nostra disposizione.

Ma la vita non permetterà mai che ci annoiamo.

Infatti è probabile che una qualche altra missione si presenti davanti a noi.
Purtroppo sempre sotto forma di problema da risolvere.

Un altro problema, sotteso, silente, che nel passato si era già presentato, anche se in maniera lieve, adesso sembra accrescersi, lievitare.
Si manifesta come non aveva mai fatto prima.
E tutto ricomincia da capo.

Ora, sta a noi voler capire o meno il funzionamento di questo meccanismo.
Il senso della “missione da compiere”.

Possiamo scegliere di entrare nel lamento di chi si deve rassegnare a non essere mai sereno e tranquillo, mai degno di un autentico stato di pace, oppure capire che quei problemi sono lì, disposti in fila come i vagoni di un treno.
Uno dietro l’altro stanno chiedendo di essere risolti.

Ogni volta meno severi però, perché il modo in cui si sono disposti è senz’altro in un ordine decrescente.
Dal più grave, più urgente, al più semplice da sciogliere.

E tutti hanno la stessa soluzione.
Occorre assumersi la responsabilità della loro presenza.
Sapere che siamo noi a generarli e ignorare ogni convinzione che tutto invece avviene all’esterno e che noi non possiamo farci niente,
anche se appare come la cosa più evidente.

È questo il segreto per assolvere alla missione.

Solo dopo aver smontato uno per uno tutti i vagoni di quel treno, ai pochissimi che in una vita avranno il coraggio di farlo, l’esistenza rivelerà finalmente quale è la missione grandiosa per la quale si sta vivendo.

Quella per cui varrà la pena spendersi, essere strumento, servire e risplendere.

                                                                                              Alberto Melari

sabato 8 maggio 2021

Quelle cose che un artista non dovrebbe mai fare ...

 






È fondamentale per un artista difendere il suo patrimonio più importante. La propria creatività.

Per farlo è indispensabile tutelare la propria autonomia di pensiero, il proprio mondo interiore.

Molti dei comportamenti più comuni fra chi produce arte, invece, vanno proprio a toccare quell’autonomia.

Sono le cose che un artista non dovrebbe mai fare.

Affidarsi ad un critico

Se un satellite si mette a girare intorno ad una stella, si illumina.

È questo il principio che porta molti artisti a darsi un gran da fare per farsi notare ed entrare nelle grazie di un qualche intellettuale ben inserito.

Qualcuno che scriva articoli su di loro o che li citi per lodarne le opere.

Quando nasce un rapporto di questo tipo, la posizione dell’artista è quasi sempre di subordinazione.
E questo è estremamente deleterio (alla persona in quanto tale prima ancora che all’artista).   

Come ho già detto in un altro video, le caratteristiche che fanno un artista sono due.

La prima. La capacità di utilizzare il linguaggio di cui si avvale.
In altre parole saper dipingere, se, per esempio, si tratta di un pittore.

La seconda. Quando si conosce bene il linguaggio che si utilizza occorre avere qualcosa da raccontare attraverso quel linguaggio.

I contenuti, le atmosfere, le armonie, le invenzioni, i racconti che andranno a finire nella tela sono il mondo interiore dell’artista.
Quello e nient’altro.

Quel mondo è degno di essere espresso solo quando è enormemente vasto.
Quando la personalità che lo comunica si manifesta come estesa e dirompente.

Per prima cosa una simile espressione non ha bisogno di stomachevoli fiumi di chiacchiere inutili.

Inoltre, una simile espressione non può in nessun modo generarsi da una personalità votata alla dipendenza da qualcuno.

Chi sente di doversi muovere per elemosinare un po’ di visibilità, chi ha la tendenza a sottomettersi, nelle proprie opere non potrà che manifestare quella sottomissione.

Una sottomissione che è prima di tutto sottomissione di idee.
Ovvero, chi è abituato a dipendere dall’esterno, ne dipende anche e soprattutto nel proprio pensiero e quindi in ciò che rappresenta.

Quella persona, anche se tecnicamente preparata, non rivelerà il proprio mondo. Ma quello degl’altri.

Nelle opere di tali personalità, non possiamo che aspettarci un’espressione debole, condizionata e quindi mai originale e vigorosa. Anche se tecnicamente ben fatte, le opere saranno sempre uniformate e vicine alla media.
Prive di una forza speciale che la renda interessanti veramente.

Occorre considerare anche che, con la stessa facilità con cui un critico esalta e manda alla ribalta un artista, può decidere in ogni momento di spegnerlo e riprecipitarlo nel buio per sempre.

E quindi un artista vero, come principio fondante della propria persona, non deve orbitare intorno a nessuno.

Un artista vero è quello capace di brillare di luce propria.

Seguire le mode

Se c’è una cosa che fa scadere l’attività di un artista ai più bassi livelli immaginabili è l’adattarsi a fare quello che si dice vada per la maggiore.

Il valore di un’opera è fortemente legato alla sua originalità.
La qualità in assoluto più difficile da raggiungere.

È quasi impossibile non avere modelli.
Tuttavia esiste un equilibrio perfetto fra l’ispirarsi a modelli esterni e liberare la propria espressione personale più pura.

Il conseguimento di quell’equilibrio è un’attività molto impegnativa.
Come si intuisce facilmente, è un’attività che coinvolge la parte più profonda dell’animo di un artista.
È di fatto una ricerca spirituale, qualsiasi sia il rapporto che la persona ha con la spiritualità.

La morte più totale di questi principi la troviamo nell’arte contemporanea.
Questa forma di pseudocultura ha introiettato tutta una serie di modelli di comportamento tipici dell’universo della moda.

Ha spinto l’arte verso un mondo frivolo dove a contare sono i salotti, gli eventi, le stravaganze, l’essere presente, l’essere inseriti.
Un mondo di pura esteriorità dove i riferimenti metafisici, di cultura profonda, al senso della vita, sono finti pure quelli. Sempre puntualmente citati, ostentati sul piano dell’immagine, ma di fatto inesistenti.

Un vero artista non deve mai seguire una tendenza.
Semmai, un vero artista, è quello che una tendenza la crea.

Partecipare a concorsi

Il concetto stesso di concorso, inteso come gara, come competizione a premi, non ha nulla a che fare con l’espressione artistica.

Prima di tutto va detto che il concorrere ha senso quando ad essere messi a confronto sono elementi quantificabili e oggettivabili.

Chi salta più in alto, chi corre più veloce, chi fa centro più volte.  
Chi risolve qualcosa nel tempo minore e via di seguito.

Tutte cose misurabili, che non hanno nulla a che vedere invece con la natura dell’espressione creativa, la bellezza, la capacità di affascinare di un’opera che non sono esprimibili come quantità.

Ma al di là del fatto che, in un concorso d’arte si va a quantificare qualcosa che sfugge a qualsiasi parametro di misurazione, è proprio l’idea di partecipare a concorsi che ha qualcosa di stonato.

Il dedicarsi ad un tale obbiettivo ha come effetto collaterale quello di eclissare lo scopo vero per cui si producono opere.

Ovvero per dare voce ad un mito | per creare un’espressione che consenta ad uno spettatore di riconoscere una parte profonda di sé |
per offrire una visione del mondo.

Tutto questo non ha davvero nulla a che fare con l’affermarsi rispetto ad altri e ribadire una superiorità delle proprie doti.

Creare arte è un’operazione che va concepita con l’intento di aggiungere. Aggiungere qualcosa all’universo.

Un concorso è qualcosa che, per sua natura, prevede invece un escludere, poiché presuppone un finale con vincitori da annoverare e perdenti lasciati fuori dall’attenzione.

E questo, in arte, non ha senso.

Anche nelle rare volte in cui tutto si svolge in maniera onesta, la giuria di un concorso non può che rappresentare un’espressione del gusto assolutamente parziale, e quindi qualcosa lontanissimo dall’essere oggettivo.

L’idoneo e naturale destino di un’opera è quello di essere lasciata al pubblico che ne determinerà spontaneamente il successo in base a quanto questa sarà capace di toccare la sensibilità di chi le si avvicina.

Quindi una giuria che stabilisce un vincitore non sta di fatto stabilendo un bel niente.

Per quale motivo un artista dovrebbe prestarsi a qualcosa che, di fondo, non stabilisce in un bel niente?

Farsi attribuire un coefficiente di valore

Sul mercato dell’arte c’è un sistema con cui viene calcolato il valore economico dell’opera di un artista.

Questo funziona sommando l’altezza e la lunghezza del quadro, espresse in metri, moltiplicato per un coefficiente attribuito all’artista. Il risultato dell’equazione dà il valore di una sua opera.

Poche cose ci sono di più stupide di questo meccanismo appena descritto.

In altre parole, le opere vengono trattate come prodotti di salumeria.
Così come una mortadella costa un tanto al chilo, un quadro viene valutato un tanto al metro.

Far dipendere il valore delle proprie opere da un coefficiente “al metro lineare” è forse più deprimente e svilente che dipendere da un critico, come appena detto.

Corrisponde al dover accettare che le proprie opere siano in qualche modo tutte livellate, tutte dotate di un tetto di valore oltre il quale non possono elevarsi, fintanto che, sempre dall’esterno, non interviene qualcuno a rimuovere quel limite, per criteri a dir poco ridicoli, e solo per spostarlo un po’ più in su.

Questo, fra l’altro, rappresenta un grosso ostacolo alla sperimentazione e all’apertura verso nuove prospettive, perché il meccanismo pretende che ci sia una riconoscibilità dell’opera.
Quindi un appiattimento di schemi che, per un artista vero, dovrebbe risultare qualcosa di insopportabile.

Se un artista decide legittimamente di stare sul mercato deve essere egli stesso a stabilire il prezzo delle proprie opere, valutandole una per una.

Non per questo non deve adattarsi alle leggi del mercato, che però sono leggi naturali, come quella della domanda e dell’offerta.

Ovvero, se l’artista produrrà opere di livello, il mercato risponderà spontaneamente aumentando la richiesta. E sarà normale alzare il prezzo.

Essere identificato da un coefficiente è qualcosa che, oltre a non avere alcun senso, è inaccettabile per il grado di libertà di cui deve pretendere di godere una persona che ha deciso di esprimersi attraverso la sua creatività.


                Alberto Melari