Sicus Edizioni Casa editrice ed ente di formazione fondato e diretto da Alberto Melari
giovedì 27 maggio 2021
lunedì 17 maggio 2021
Quale è la missione della tua vita e come assolverla. (video)
“Il segreto dell’esistenza
umana non sta soltanto nel vivere,
ma anche nel sapere per che cosa si vive!”
Fëdor Dostoevskij
“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere,
ma anche nel sapere per che cosa si vive!”
Qual è la missione della tua vita?
Diciamo che, la missione della propria vita, se
esiste, appartiene a quel genere di verità, negate dalla maggior parte delle
persone, che si possono solo intravedere e si fanno cogliere solamente da chi è
più attento e disponibile ad un pensiero aperto.
La maggioranza delle persone però pensa che la propria
missione di vita non si sia mai manifestata perché nelle loro vite hanno avuto
un ruolo determinante certi elementi di disturbo.
Molti non hanno potuto scoprire quale fosse la propria
missione perché eclissata da qualcuno di questi problemi che hanno preso il
sopravvento su tutto il resto.
Questi problemi non permetterebbero di concentrarsi su
ciò che la vita vuole da noi.
Lo so… non è una bella notizia di cui venire a conoscenza.
Avresti preferito che la missione della tua vita fosse
contribuire al progresso della civiltà, scoprire qualcosa di importante, salvare
vite, lasciare un patrimonio artistico di eccellenza, consegnare alla storia
qualcosa di rilevante … fosse stata una di queste avresti volentieri speso il
tuo tempo, le tue energie e anche i tuoi soldi per portarla avanti.
Eppure è così.
Ora, se non hai ancora chiuso con sdegno questo video,
possiamo fare altre considerazioni a riguardo.
Niente di tutto questo.
Intanto va detto che prima che quel problema venga
risolto, cioè che si assolva alla missione, c’è un tempo in cui il problema non
viene nemmeno riconosciuto. Viene negato.
E quindi non lo si affronta direttamente, si aspetta
che il disagio che ha generato passi, un po’ come passa prima o poi un dolore
muscolare.
Solo dopo molte volte in cui quel problema si è ripresentato,
ed in genere ogni volta in maniera più dolorosa e sfacciata, si arriva a
riconoscerlo come proprio.
E perché questo avvenga in genere passano anni.
Talvolta decenni.
Anche dopo che sarà diventato chiaro che quel problema
si presenta a noi ripetutamente, sempre uguale, sempre nostro, passerà ancora
altro tempo in cui verrà lasciato agire, in quanto attribuito a circostanze
esterne che si vengono a creare ogni volta come una maledizione contro di noi.
Ma più spesso la colpa viene data ad altri, famigliari
o conoscenti, considerati responsabili di azioni che generano quel problema
nella nostra vita.
Ogni problema sembra essere una cosa a sé.
È molto diverso infatti avere problemi di denaro
dall’avere problemi di relazione dall’avere problemi di altro tipo ancora.
Eppure la soluzione ha sempre un unico schema.
In altre parole, occorre assumersi la completa
responsabilità di quanto ci accade, senza dare colpe a nessuno.
Raggiungere questo livello di consapevolezza
corrisponde a compiere un passo evolutivo enorme per la propria vita.
Una volta raggiunta questa consapevolezza, verrà
naturale avere il desiderio di voler sorprendere noi stessi in futuro mentre
mettiamo in atto quei meccanismi che tante volte ci hanno incastrato in situazioni
spiacevoli.
Per capirli finalmente, riconoscerli mentre agiscono e
combatterli.
Anche se ci vorrà molto tempo affinché la vita ci darà
dei segni concreti che questo è avvenuto.
Ad ogni modo la missione è stata assolta.
A questo punto? Cosa dobbiamo fare della vita?
Ma la vita non permetterà mai che ci annoiamo.
È questo il segreto per assolvere alla missione.
Solo dopo aver smontato uno per uno tutti i vagoni di
quel treno, ai pochissimi che in una vita avranno il coraggio di farlo,
l’esistenza rivelerà finalmente quale è la missione grandiosa per la quale si
sta vivendo.
Quella per cui varrà la pena spendersi, essere
strumento, servire e risplendere.
Alberto Melari
sabato 8 maggio 2021
Quelle cose che un artista non dovrebbe mai fare ...
È fondamentale per un artista difendere il suo patrimonio
più importante. La propria creatività.
Per farlo è indispensabile tutelare la propria autonomia di
pensiero, il proprio mondo interiore.
Molti dei comportamenti più comuni fra chi produce arte, invece,
vanno proprio a toccare quell’autonomia.
Sono le cose che un artista non dovrebbe mai fare.
Affidarsi ad un critico
Se un satellite si mette a girare intorno ad una stella, si
illumina.
È questo il principio che porta molti artisti a darsi un
gran da fare per farsi notare ed entrare nelle grazie di un qualche intellettuale
ben inserito.
Qualcuno che scriva articoli su di loro o che li citi per
lodarne le opere.
Quando nasce un rapporto di questo tipo, la posizione
dell’artista è quasi sempre di subordinazione.
E questo è estremamente deleterio (alla persona in quanto tale prima ancora che
all’artista).
Come ho già detto in un altro video, le caratteristiche che
fanno un artista sono due.
La prima. La capacità di utilizzare il linguaggio di cui si
avvale.
In altre parole saper dipingere, se, per esempio, si tratta di un pittore.
La seconda. Quando si conosce bene il linguaggio che si
utilizza occorre avere qualcosa da raccontare attraverso quel linguaggio.
I contenuti, le atmosfere, le armonie, le invenzioni, i
racconti che andranno a finire nella tela sono il mondo interiore dell’artista.
Quello e nient’altro.
Quel mondo è degno di essere espresso solo quando è
enormemente vasto.
Quando la personalità che lo comunica si manifesta come estesa e dirompente.
Per prima cosa una simile espressione non ha bisogno di stomachevoli
fiumi di chiacchiere inutili.
Inoltre, una simile espressione non può in nessun modo generarsi
da una personalità votata alla dipendenza da qualcuno.
Chi sente di doversi muovere per elemosinare un po’ di
visibilità, chi ha la tendenza a sottomettersi, nelle proprie opere non potrà
che manifestare quella sottomissione.
Una sottomissione che è prima di tutto sottomissione di
idee.
Ovvero, chi è abituato a dipendere dall’esterno, ne dipende anche e soprattutto
nel proprio pensiero e quindi in ciò che rappresenta.
Quella persona, anche se tecnicamente preparata, non rivelerà
il proprio mondo. Ma quello degl’altri.
Nelle opere di tali personalità, non possiamo che aspettarci
un’espressione debole, condizionata e quindi mai originale e vigorosa. Anche se
tecnicamente ben fatte, le opere saranno sempre uniformate e vicine alla media.
Prive di una forza speciale che la renda interessanti veramente.
Occorre considerare anche che, con la stessa facilità con
cui un critico esalta e manda alla ribalta un artista, può decidere in ogni
momento di spegnerlo e riprecipitarlo nel buio per sempre.
E quindi un artista vero, come principio fondante della propria
persona, non deve orbitare intorno a nessuno.
Un artista vero è quello capace di brillare di luce propria.
Seguire le mode
Se c’è una cosa che fa scadere l’attività di un artista ai
più bassi livelli immaginabili è l’adattarsi a fare quello che si dice vada per
la maggiore.
Il valore di un’opera è fortemente legato alla sua originalità.
La qualità in assoluto più difficile da raggiungere.
È quasi impossibile non avere modelli.
Tuttavia esiste un equilibrio perfetto fra l’ispirarsi a modelli esterni e
liberare la propria espressione personale più pura.
Il conseguimento di quell’equilibrio è un’attività molto impegnativa.
Come si intuisce facilmente, è un’attività che coinvolge la parte più profonda
dell’animo di un artista.
È di fatto una ricerca spirituale, qualsiasi sia il rapporto che la persona ha
con la spiritualità.
La morte più totale di questi principi la troviamo nell’arte
contemporanea.
Questa forma di pseudocultura ha introiettato tutta una serie di modelli di
comportamento tipici dell’universo della moda.
Ha spinto l’arte verso un mondo frivolo dove a contare sono
i salotti, gli eventi, le stravaganze, l’essere presente, l’essere inseriti.
Un mondo di pura esteriorità dove i riferimenti metafisici, di cultura
profonda, al senso della vita, sono finti pure quelli. Sempre puntualmente
citati, ostentati sul piano dell’immagine, ma di fatto inesistenti.
Un vero artista non deve mai seguire una tendenza.
Semmai, un vero artista, è quello che una tendenza la crea.
Partecipare a concorsi
Il concetto stesso di concorso, inteso come gara, come
competizione a premi, non ha nulla a che fare con l’espressione artistica.
Prima di tutto va detto che il concorrere ha senso quando ad
essere messi a confronto sono elementi quantificabili e oggettivabili.
Chi salta più in alto, chi corre più veloce, chi fa centro
più volte.
Chi risolve qualcosa nel tempo minore e via di seguito.
Tutte cose misurabili, che non hanno nulla a che vedere invece
con la natura dell’espressione creativa, la bellezza, la capacità di
affascinare di un’opera che non sono esprimibili come quantità.
Ma al di là del fatto che, in un concorso d’arte si va a
quantificare qualcosa che sfugge a qualsiasi parametro di misurazione, è
proprio l’idea di partecipare a concorsi che ha qualcosa di stonato.
Il dedicarsi ad un tale obbiettivo ha come effetto
collaterale quello di eclissare lo scopo vero per cui si producono opere.
Ovvero per dare voce ad un mito | per creare un’espressione
che consenta ad uno spettatore di riconoscere una parte profonda di sé |
per offrire una visione del mondo.
Tutto questo non ha davvero nulla a che fare con l’affermarsi
rispetto ad altri e ribadire una superiorità delle proprie doti.
Creare arte è un’operazione che va concepita con l’intento
di aggiungere. Aggiungere qualcosa all’universo.
Un concorso è qualcosa che, per sua natura, prevede invece
un escludere, poiché presuppone un finale con vincitori da annoverare e
perdenti lasciati fuori dall’attenzione.
E questo, in arte, non ha senso.
Anche nelle rare volte in cui tutto si svolge in maniera
onesta, la giuria di un concorso non può che rappresentare un’espressione del
gusto assolutamente parziale, e quindi qualcosa lontanissimo dall’essere
oggettivo.
L’idoneo e naturale destino di un’opera è quello di essere
lasciata al pubblico che ne determinerà spontaneamente il successo in base a
quanto questa sarà capace di toccare la sensibilità di chi le si avvicina.
Quindi una giuria che stabilisce un vincitore non sta di
fatto stabilendo un bel niente.
Per quale motivo un artista dovrebbe prestarsi a qualcosa
che, di fondo, non stabilisce in un bel niente?
Farsi attribuire un coefficiente di valore
Sul mercato dell’arte c’è un sistema con cui viene calcolato
il valore economico dell’opera di un artista.
Questo funziona
sommando l’altezza e la lunghezza del quadro, espresse in metri, moltiplicato
per un coefficiente attribuito all’artista. Il risultato dell’equazione dà il
valore di una sua opera.
Poche cose ci sono di più stupide di questo meccanismo
appena descritto.
In altre parole, le opere vengono trattate come prodotti di
salumeria.
Così come una mortadella costa un tanto al chilo, un quadro viene valutato un
tanto al metro.
Far dipendere il valore delle proprie opere da un
coefficiente “al metro lineare” è forse più deprimente e svilente che dipendere
da un critico, come appena detto.
Corrisponde al dover accettare che le proprie opere siano in
qualche modo tutte livellate, tutte dotate di un tetto di valore oltre il quale
non possono elevarsi, fintanto che, sempre dall’esterno, non interviene
qualcuno a rimuovere quel limite, per criteri a dir poco ridicoli, e solo per
spostarlo un po’ più in su.
Questo, fra l’altro, rappresenta un grosso ostacolo alla
sperimentazione e all’apertura verso nuove prospettive, perché il meccanismo
pretende che ci sia una riconoscibilità dell’opera.
Quindi un appiattimento di schemi che, per un artista vero, dovrebbe risultare
qualcosa di insopportabile.
Se un artista decide legittimamente di stare sul mercato
deve essere egli stesso a stabilire il prezzo delle proprie opere, valutandole
una per una.
Non per questo non deve adattarsi alle leggi del mercato,
che però sono leggi naturali, come quella della domanda e dell’offerta.
Ovvero, se l’artista produrrà opere di livello, il mercato
risponderà spontaneamente aumentando la richiesta. E sarà normale alzare il
prezzo.
Essere identificato da un coefficiente è qualcosa che, oltre
a non avere alcun senso, è inaccettabile per il grado di libertà di cui deve pretendere
di godere una persona che ha deciso di esprimersi attraverso la sua creatività.
Alberto Melari