La sofferenza cambia il mondo.
È una scena tipica. Vi sarà
capitato di vederla. Da una parte un idealista (e attivista) che cerca di
cambiare nel mondo ciò che non va. Dall’altra un pessimista (ma guai a
chiamarlo così! Lui è “realista”) che pronuncia la notoria frase “… ma il mondo
non si cambia!”.
L’idealista, dal canto suo,
toccato nei suoi propositi più sentiti, ha mille esempi da addurre di persone
che il mondo lo hanno cambiato eccome, e sul loro esempio continuerà le sue
battaglie.
Ma insomma, il mondo si cambia o
non si cambia?
Di sicuro il mondo cambia.
Che il mondo cambia è talmente
palese che trattarne la dimostrazione risulta quasi umiliante. Nulla è mai
stato uguale. La realtà è un flusso sempre in evoluzione. Nessuna società
somiglia alle società che l’hanno preceduta. Ogni epoca ha affrontato le sue questioni
e ha prodotto soluzioni e problemi. Sempre diversi.
Quello che ci interessa non è
tanto dimostrare che il mondo cambia, ma il meccanismo attraverso cui il
cambiamento avviene.
E nello spiegare questo
meccanismo dobbiamo purtroppo utilizzare una parola che stride piuttosto sgradevolmente
alla nostra esperienza.
La parola “sofferenza”.
È questo il mezzo attraverso il
quale il più delle volte il cambiamento si compie. Questo è vero tanto per le
singole persone, quanto per i gruppi, dalle coppie, alle classi sociali, agli
stati.
Tutti i cambiamenti autentici
sono preceduti da una crisi. Tutte le volte si soffre. Ecco le fasi del
cambiamento intrise di questa sofferenza.
Primo - Si inizia a soffrire perché la realtà in cui si vive non va
più bene. Pertanto si avvia a cambiare.
Secondo - Si soffre perché il passo verso il cambiamento presuppone
la fine di quella parte di noi che, nonostante ci faccia stare male, non
vorremmo abbandonare. Ci accorgiamo che quel malessere, anche se ci fa
soffrire, lo conosciamo, ci è noto, e comunque è sempre meglio dell’ignoto a
cui si va incontro.
Terzo – Dopo aver scoperto che quello star male in fondo lo
preferiamo, al cambiamento si oppone resistenza e quindi si retrocede,
rinunciando a progredire.
Quarto - Tornando indietro si ritrova tutta la sofferenza da cui ci
si voleva liberare, per cui si rinnova la necessità di fare un passo fuori. E ricomincia
il giro dal punto primo.
Questo meccanismo perverso in
genere dura molto tempo. Talvolta anni. Ad ogni giro la sofferenza aumenta e la
resistenza pure. E continua fintanto che il cambiamento non diventa obbligatorio
poiché la sofferenza della condizione da cui dovremmo affrancarci ha raggiunto
soglie troppo elevate per essere sopportata.
Solo allora ci si butta nel
vuoto. Finalmente si evolve. Si trova la pace in un io rinnovato.
Ci sono esempi nell’esperienza di
ognuno. Ci sono donne che intraprendono relazioni con uomini che le trattano
male. Quelle relazioni spesso si interrompono. Ma poi si ricompongono per interrompersi
di nuovo per lo stesso motivo. Oppure, le stesse donne cambiano partner, ma
quello che si scelgono successivamente è di poco diverso da quello che hanno
lasciato. Solo dopo un lunghissimo ricadere nello stesso vizioso meccanismo
arrivano a comprendere che ne sono loro stesse la causa nel momento in cui
scelgono la persona da mettersi accanto. Solo dopo aver raggiunto questo stato
di coscienza, dopo aver sofferto molto, possono operare un vero cambiamento e
vivere finalmente uno stato affettivo sano con la persona giusta.
Anche l’evoluzione di un gruppo
segue questo schema. Un popolo che è sottoposto ad una dittatura si libererà
solo quando disordini, corruzione e condizioni sociali nefaste avranno
raggiunto livelli insostenibili. Solo allora si trova la forza di creare una
vera resistenza che destabilizza i poteri opprimenti fino a farli decadere. La
storia, anche recente, ci insegna che quando potenze esterne intervengono su
regimi dittatoriali per portare la democrazia, la democrazia puntualmente non
si realizza. Il popolo ricade nel disordine o in una nuova dittatura o in
qualche altra forma di schiavitù. Si libererà solo dopo che la condizione di malessere
sarà stata sufficientemente alta da risvegliare la coscienza collettiva.
L’idealista che vuole cambiare il
mondo è colui che vorrebbe una realtà dove nessuno debba soffrire e con la sua
azione tenta di risparmiare agl’altri quella sofferenza. Oltre a rappresentare
un’impresa utopica, non si rende conto che, sottraendo qualcuno alla
sofferenza, blocca di fatto la sua evoluzione se quel qualcuno ha a
disposizione proprio la sofferenza come unico mezzo per la propria crescita.
Tutte quelle le persone, a cui
accennavamo prima, che nella storia hanno contribuito a creare grandi
cambiamenti, hanno potuto farlo solo perché la loro azione si è innestata ogni
volta in un momento storico favorevole all’evoluzione. Un momento in cui le
masse avevano maturato, dopo un lungo periodo di crisi, la necessità di una
spinta verso un rinnovamento causata da una saturazione data da un periodo di
sofferenza.
Quando il cambiamento viene
proposto in un momento in cui non si è ancora sofferto abbastanza, incarnare in
un qualsiasi modo l’essenza di una rivoluzione rimarne un’azione del tutto
inutile.
Il pessimista, dal canto suo, se
realmente pensa che il mondo non possa cambiare e che le negatività del genere
umano siano destinate ad un ristagno perenne, ha incredibilmente perso la
cognizione del flusso interminabile di cambiamento a cui ogni realtà è
ineluttabilmente soggetta. Ognuno è destinato a sottoporsi, prima o poi, alle
conseguenze delle proprie azioni. Che sia l’aver fatto del male, oppure l’aver
permesso a qualcuno di farselo fare. La sofferenza derivante da quel male è la
sostanza da cui si genera l’evoluzione.
E dunque, anche se nella nostra
cultura siamo abituati a rifuggirla, la sofferenza ha un valore enorme. Quindi sono molti i casi in cui non andrebbe risparmiata a chi la sta vivendo. La
sofferenza è il modo con cui si risveglia una coscienza e la si induce alla
crescita. Ogni volta che c’è una sofferenza c’è un passaggio da fare al quale
si sta opponendo resistenza. Quella sofferenza prima o poi, di quella
resistenza, sfonderà il muro.
Che si evolva attraverso la
sofferenza può apparire crudele. Ma per fortuna non è una legge ineludibile. L’alternativa
non solo esiste ma è fruibile in ogni momento. Anche adesso. Potenzialmente, un’evoluzione
che richiede anni di malesseri, potrebbe essere compiuta in un solo giorno in un
pieno regime di pace.
L’evoluzione senza sofferenza è una
via semplice a disposizione di tutti ma di fatto utilizzata da pochissimi. È la
strada della consapevolezza. Consiste di un’attenzione costante su se stessi e
sulla propria condizione che porta ad intuire la necessità del cambiamento
prima che siano le circostanze impervie della vita a doverlo obbligare. È il
percorso in cui, in uno stato di auto-osservazione continua, ci si accorge quando
c’è qualcosa che non va e occorre operare un rinnovamento prima che le
condizioni volgano all’estremo. È la via in cui si permette alla realtà di
scorrere senza creare opposizione al divenire naturale delle cose e si accetta
il flusso della trasformazione. È maturare la coscienza che vivere è prima di
tutto evoluzione, e non la ricerca continua di una situazione di gradevole immobilità.
Alberto Melari
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