lunedì 3 giugno 2019



La sofferenza cambia il mondo.
 

È una scena tipica. Vi sarà capitato di vederla. Da una parte un idealista (e attivista) che cerca di cambiare nel mondo ciò che non va. Dall’altra un pessimista (ma guai a chiamarlo così! Lui è “realista”) che pronuncia la notoria frase “… ma il mondo non si cambia!”.
L’idealista, dal canto suo, toccato nei suoi propositi più sentiti, ha mille esempi da addurre di persone che il mondo lo hanno cambiato eccome, e sul loro esempio continuerà le sue battaglie.

Ma insomma, il mondo si cambia o non si cambia?

Di sicuro il mondo cambia.

Che il mondo cambia è talmente palese che trattarne la dimostrazione risulta quasi umiliante. Nulla è mai stato uguale. La realtà è un flusso sempre in evoluzione. Nessuna società somiglia alle società che l’hanno preceduta. Ogni epoca ha affrontato le sue questioni e ha prodotto soluzioni e problemi. Sempre diversi.

Quello che ci interessa non è tanto dimostrare che il mondo cambia, ma il meccanismo attraverso cui il cambiamento avviene.

E nello spiegare questo meccanismo dobbiamo purtroppo utilizzare una parola che stride piuttosto sgradevolmente alla nostra esperienza.

La parola “sofferenza”.

È questo il mezzo attraverso il quale il più delle volte il cambiamento si compie. Questo è vero tanto per le singole persone, quanto per i gruppi, dalle coppie, alle classi sociali, agli stati.
Tutti i cambiamenti autentici sono preceduti da una crisi. Tutte le volte si soffre. Ecco le fasi del cambiamento intrise di questa sofferenza.

Primo - Si inizia a soffrire perché la realtà in cui si vive non va più bene. Pertanto si avvia a cambiare.
Secondo - Si soffre perché il passo verso il cambiamento presuppone la fine di quella parte di noi che, nonostante ci faccia stare male, non vorremmo abbandonare. Ci accorgiamo che quel malessere, anche se ci fa soffrire, lo conosciamo, ci è noto, e comunque è sempre meglio dell’ignoto a cui si va incontro.
Terzo – Dopo aver scoperto che quello star male in fondo lo preferiamo, al cambiamento si oppone resistenza e quindi si retrocede, rinunciando a progredire.
Quarto - Tornando indietro si ritrova tutta la sofferenza da cui ci si voleva liberare, per cui si rinnova la necessità di fare un passo fuori. E ricomincia il giro dal punto primo.

Questo meccanismo perverso in genere dura molto tempo. Talvolta anni. Ad ogni giro la sofferenza aumenta e la resistenza pure. E continua fintanto che il cambiamento non diventa obbligatorio poiché la sofferenza della condizione da cui dovremmo affrancarci ha raggiunto soglie troppo elevate per essere sopportata.

Solo allora ci si butta nel vuoto. Finalmente si evolve. Si trova la pace in un io rinnovato.

Ci sono esempi nell’esperienza di ognuno. Ci sono donne che intraprendono relazioni con uomini che le trattano male. Quelle relazioni spesso si interrompono. Ma poi si ricompongono per interrompersi di nuovo per lo stesso motivo. Oppure, le stesse donne cambiano partner, ma quello che si scelgono successivamente è di poco diverso da quello che hanno lasciato. Solo dopo un lunghissimo ricadere nello stesso vizioso meccanismo arrivano a comprendere che ne sono loro stesse la causa nel momento in cui scelgono la persona da mettersi accanto. Solo dopo aver raggiunto questo stato di coscienza, dopo aver sofferto molto, possono operare un vero cambiamento e vivere finalmente uno stato affettivo sano con la persona giusta.

Anche l’evoluzione di un gruppo segue questo schema. Un popolo che è sottoposto ad una dittatura si libererà solo quando disordini, corruzione e condizioni sociali nefaste avranno raggiunto livelli insostenibili. Solo allora si trova la forza di creare una vera resistenza che destabilizza i poteri opprimenti fino a farli decadere. La storia, anche recente, ci insegna che quando potenze esterne intervengono su regimi dittatoriali per portare la democrazia, la democrazia puntualmente non si realizza. Il popolo ricade nel disordine o in una nuova dittatura o in qualche altra forma di schiavitù. Si libererà solo dopo che la condizione di malessere sarà stata sufficientemente alta da risvegliare la coscienza collettiva.

L’idealista che vuole cambiare il mondo è colui che vorrebbe una realtà dove nessuno debba soffrire e con la sua azione tenta di risparmiare agl’altri quella sofferenza. Oltre a rappresentare un’impresa utopica, non si rende conto che, sottraendo qualcuno alla sofferenza, blocca di fatto la sua evoluzione se quel qualcuno ha a disposizione proprio la sofferenza come unico mezzo per la propria crescita.

Tutte quelle le persone, a cui accennavamo prima, che nella storia hanno contribuito a creare grandi cambiamenti, hanno potuto farlo solo perché la loro azione si è innestata ogni volta in un momento storico favorevole all’evoluzione. Un momento in cui le masse avevano maturato, dopo un lungo periodo di crisi, la necessità di una spinta verso un rinnovamento causata da una saturazione data da un periodo di sofferenza.

Quando il cambiamento viene proposto in un momento in cui non si è ancora sofferto abbastanza, incarnare in un qualsiasi modo l’essenza di una rivoluzione rimarne un’azione del tutto inutile.

Il pessimista, dal canto suo, se realmente pensa che il mondo non possa cambiare e che le negatività del genere umano siano destinate ad un ristagno perenne, ha incredibilmente perso la cognizione del flusso interminabile di cambiamento a cui ogni realtà è ineluttabilmente soggetta. Ognuno è destinato a sottoporsi, prima o poi, alle conseguenze delle proprie azioni. Che sia l’aver fatto del male, oppure l’aver permesso a qualcuno di farselo fare. La sofferenza derivante da quel male è la sostanza da cui si genera l’evoluzione.

E dunque, anche se nella nostra cultura siamo abituati a rifuggirla, la sofferenza ha un valore enorme. Quindi sono molti i casi in cui non andrebbe risparmiata a chi la sta vivendo. La sofferenza è il modo con cui si risveglia una coscienza e la si induce alla crescita. Ogni volta che c’è una sofferenza c’è un passaggio da fare al quale si sta opponendo resistenza. Quella sofferenza prima o poi, di quella resistenza, sfonderà il muro.

Che si evolva attraverso la sofferenza può apparire crudele. Ma per fortuna non è una legge ineludibile. L’alternativa non solo esiste ma è fruibile in ogni momento. Anche adesso. Potenzialmente, un’evoluzione che richiede anni di malesseri, potrebbe essere compiuta in un solo giorno in un pieno regime di pace.

L’evoluzione senza sofferenza è una via semplice a disposizione di tutti ma di fatto utilizzata da pochissimi. È la strada della consapevolezza. Consiste di un’attenzione costante su se stessi e sulla propria condizione che porta ad intuire la necessità del cambiamento prima che siano le circostanze impervie della vita a doverlo obbligare. È il percorso in cui, in uno stato di auto-osservazione continua, ci si accorge quando c’è qualcosa che non va e occorre operare un rinnovamento prima che le condizioni volgano all’estremo. È la via in cui si permette alla realtà di scorrere senza creare opposizione al divenire naturale delle cose e si accetta il flusso della trasformazione. È maturare la coscienza che vivere è prima di tutto evoluzione, e non la ricerca continua di una situazione di gradevole immobilità.
                                                                                                          Alberto Melari

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