Il metodo delle 2F.
A scuola si studia e studiando s’impara. Di sicuro la prima
cosa che si impara è proprio a studiare. Infatti la prima cosa da imparare a
scuola è proprio come si deve studiare.
È la questione del cosiddetto “metodo di studio”. In
particolare, quello che si apprende a scuola, io lo chiamo il metodo 2F.
Se state leggendo questo testo vuol dire che sapete leggere
e quindi a scuola ci siete andati. Pertanto il metodo 2F lo conoscete per forza.
Tuttavia vale la pena ricordarlo nel dettaglio.
Questo che segue è l’algoritmo del metodo 2F.
L’insegnante dice ai ragazzi: “Per compito studiate il
capitolo 6”. I ragazzi, tornano a casa, aprono il libro al capitolo 6. Il
capitolo è diviso in paragrafi. 6.1, 6.2 e via di seguito. Talvolta i paragrafi
possono essere divisi in sotto-paragrafi. 6.1.1, 6.1.2 …
Questa suddivisione è fatta per facilitare l’applicazione
del metodo 2F. Ovvero: lo studente legge il primo paragrafo. Poi chiude il
libro e tenta di ripeterlo a voce alta senza guardare. Se la ripetizione è
andata a buon fine si passa al paragrafo successivo, altrimenti si rilegge il
tutto e si ripete di nuovo. Una volta letti e ripetuti tutti i paragrafi si
chiude il libro e si tenta di ripetere l’intero capitolo tutto insieme. Se il
tentativo va a buon fine lo studio è finito, altrimenti vanno riletti i
paragrafi non ben assimilati e si tenta la ripetizione dell’intero capitolo
un’altra volta.
Non nascondendo che nell’esposizione del metodo appena fatta
ho riprovato un certo senso di inquietudine, passo a spiegare perché questo
metodo lo chiamo metodo 2F.
La prima “F” sta senz’altro per ‘fatica’. È innegabile
infatti che lo studio così fatto sia faticoso. Ed è uno dei motivi alla base
del fatto che in molti scelgono di non proseguire gli studi oltre i livelli
minimi necessari per la vita. È opinione comune che lo studio sia sacrificio.
La seconda “F” invece sta per ‘fallimento’. Sì, perché, se
lo scopo dello studio è imparare e farsi una cultura, il metodo 2F fallisce praticamente
sempre!
Lo so. È difficile comprendere questo concetto. Soprattutto
per gli insegnanti che nella scuola ci credono e che vivono il loro lavoro come
una missione e che il 2F lo fanno applicare da sempre. D'altronde perché
dovrebbero credere che il metodo fallisca? Una volta che lo studente ha
studiato il capitolo 6 con il metodo 2F, tutte le nozioni che questo conteneva
gli sono indiscutibilmente passate. Pertanto non è difficile dimostrare che la
sua cultura si sia accresciuta.
Infatti è così.
Ma il fallimento purtroppo non si constata alla fine dello
studio del capitolo 6. Ma, per ipotesi, alla fine di un corso di studi, come,
per esempio, nel periodo di preparazione di una prova di esame di maturità.
Se prendete uno qualunque dei ragazzi che vengono da un
ciclo di 5 anni di scuole superiori, dove sono stati sottoposti ad
interrogazioni, prove scritte, orari di entrata e di uscita, compiti a casa,
obblighi di ogni tipo e, per concludere, lo stress dell’esame finale, questo vi
dirà che si è dato un proposito irremovibile. Quando riuscirà a concludere quel
percorso, con tutto quelle che sono state le materie di studio (autori
letterari, teorie filosofiche, leggi fisiche, equazioni matematiche, storia
dell’arte, scienza) non vorrà mai più avere nulla a che fare per il resto della
sua vita.
E gran parte delle volte, a quel proposito, i ragazzi tendono a
rimanere molto fedeli.
La scuola avrà così generato un ennesimo ignorante. Ma non
sarà un ignorante qualunque, bensì un ignorante grave. Poiché si tratterà di
“ignoranza di ritorno”.
Cercherò di spiegare meglio.
Esiste, o meglio, esisteva
un tempo quando la scuola non era un obbligo di legge, l’“ignoranza di
origine”. Si poteva essere ignoranti per non aver mai incontrato la cultura. Ma
nulla impediva che quest’incontro si potesse produrre, prima o poi, in maniera casuale.
Che potesse cioè accadere di scoprire che avere una cultura in un qualche
settore della vita sia una cosa bellissima e che si volesse far proprio una
qualche forma di sapere.
Un “ignorante di ritorno”, invece, è uno che passerà la vita
a cercare di dimenticare tutti i traumi che ha associato alla cultura, fatti
dall’umiliazione del voto e dell’obbligo di disciplina, dall’imposizione di un
metodo o dello studio di contenuti specifici, e, non appena nella sua vita
futura incorrerà in qualcosa che riconoscerà come ‘culturale’, si volterà
nauseato dall’altra parte e cambierà immediatamente strada.
L’incontro con la cultura sarà represso per sempre da questo
meccanismo di rigetto.
Il metodo giusto.
Ma allora esiste un metodo che consente la costruzione di un
patrimonio di conoscenza che sia, o specifico, o di sana formazione della
personalità?
Naturalmente sì. E la prima cosa che va detta in proposito è
che non si tratta di un metodo. Non trattandosi di un metodo non c’è alcun
algoritmo da adottare, né niente da sapere della sua applicazione.
Questo ‘non metodo’ si chiama “Passione”.
La passione non prevede fatica. Non è fatica, infatti, applicarsi
in qualcosa per la quale si prova un vero e proprio sentimento d’amore. Semmai
la fatica si sente quando occorre smettere per qualche motivo, o perché è ora
di andare a mangiare, o perché altri maledetti impegni impediscono di
proseguire.
La passione non prevede fallimento. Il fallimento, in presenza
di passione, non è nemmeno lontanamente contemplato. Il problema del fallimento
non si pone perché la passione porta dritti al successo. E non perché indirizza
con sicurezza verso un obbiettivo finale. Il successo è, soprattutto, già
insito nel percorso che si fa. Perché la passione stessa è l’arricchimento più
grande. Questo fa sì che l’obbiettivo non abbia più alcun senso. Se ce n’era
uno, spesso viene oltrepassato per avviarsi verso obbiettivi superiori neppure
mai consapevolmente contemplati prima.
La passione è straordinariamente contagiosa. Passa da individuo
a individuo ogni qualvolta trova un terreno fertile per radicarsi. Il mezzo che
la veicola è l’entusiasmo.
La passione non si descrive a parole. Può capirla solo chi
ce l’ha già. È in tutto e per tutto una forma d’amore ed una manifestazione dei
più alti sentimenti umani. È vita nella sua essenza più pura. È energia. Averla
è uno dei doni più belli che si possono ricevere.
La passione non trova spazio nella scuola. È ricacciata
indietro da quasi ogni sua struttura. Dalla gerarchia interna,
dall’organizzazione in tempi e spazi prestabiliti. Dai programmi ministeriali.
Dal registro di classe. Dal voto. Dal giudizio. Dagli scrutini. Dalla
disposizione dei banchi e della cattedra che stabiliscono già, stupidamente,
chi è che deve insegnare e chi invece deve imparare. Dai testi di studio e
dalla loro organizzazione dei contenuti. Dalla struttura istituzionale. Dalla
formazione degli insegnanti. Dalla burocrazia. Dalla sterile pianificazione dei
progetti didattici.
Ma, più di tutto, dal metodo delle 2F.
Alberto Melari
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